L'Alta Corte del Regno Unito ha dato il via libera al King's College Hospital di Londra di staccare la spina al piccolo Isaiah, che viene tenuto in vita dai macchinari.
Il Giudice sarebbe giunto a questa conclusione basandosi sui referti dei medici, i quali sostengono che il piccolo di 11 mesi non risponde alle stimolazioni; i genitori però non si perdono d'animo e combattono contro la decisione del giudice, sostenendo «Chi siete voi per stabilire il diritto di vivere?».
Il confine tra amore e negazione.
Il pensiero dei genitori del piccolo Isaiah è comprensibile, dettato dalla loro forza di lottare al suo posto, ma anche dall'incapacità di accettare l'inevitabilità della situazione.
D'altro canto la perdita di un figlio rovescia l'ordine naturale delle generazioni, ed è una perdita devastante per la famiglia. Spesso si dice che quando un genitore muore si perde il passato, mentre quando muore un figlio si perde il futuro. La precocità della morte di un bambino possono portare i membri della famiglia a mettere in dubbio il significato stesso della vita.
In casi come questi si produce una scissione tra l'oggettività giuridica - basata tanto sulle evidenze cliniche da sembrare quasi cinica e distaccata -, e la soggettività emotiva, dove troviamo una convinzione di possibilità e speranza anche laddove essa di per sé non sia funzionale alla guarigione del paziente.
La decisione del giudice è spinta invece dalla volontà di evitare l'Accanimento terapeutico, dove il mantenimento della vita sarebbe "forzato" esclusivamente dai macchinari, che sembrano inoltre risultare inefficaci.
In questo modo rinunciando all'accanimento terapeutico non si vuole procurare la morte, ma si vuole accettare di non poterla impedire. Questa consapevolezza produce l'innesto di alcuni meccanismi a livello psicologico che vengono delineati dalla psichiatra Kubler Ross.
Le cinque fasi di elaborazione del lutto
Le cinque fasi di elaborazione del lutto delineate da Kubler Ross andrebbero a indicare i processi cognitivi da cui passano obbligatoriamente tutti gli individui - anche se non necessariamente nello stesso ordine - che subiscono l'esperienza della morte di una persona cara, o anche dell'annuncio di un'imminente perdita.
1. Negazione/Rifiuto: vi è l'impossibilità da parte della persona di elaborare la perdita come meccanismo di difesa. Si parla di chi se n'è andato come se si fosse solo momentaneamente allontanato, come se ad un certo punto ritornasse. L'esclamazione che accomuna chi si trova in fase di negazione è: "Non può essere successo".
2. Rabbia: momento di realizzazione della perdita che si tramuta in un sentimento di ingiustizia trasformandosi poi in rabbia verso il personale medico, i familiari, Dio o verso la persona defunta. Questo può essere il momento più delicato dove vi è una richiesta di aiuto, oppure il ritiro e la necessità di isolarsi da tutti.
3. Contrattazione: la persona inizia a prendere atto dell’irreversibilità della perdita e a ipotizzare, pur nell’alternanza di momenti di sconforto e speranza, modi e strategie per riprendere il controllo della propria vita, valutando quali siano le risorse su cui poter contare e i nuovi progetti su cui investire le proprie capacità di resilienza.
4. Depressione: ci si arrende razionalmente e psicologicamente alla perdita.
Sintomi tipici del momento sono mal di testa, incapacità di concentrarsi, aumento o perdita del peso corporeo, frustazione, irritabilità, insonnia o eccessiva sonnolenza, rabbia, tristezza persistente e volontà di isolarsi.
5. Accettazione: vi è l'accettazione di quanto è accaduto e della perdita. Sebbene possano esserci ancora delle manifestazioni di rabbia o depressione, l'individuo inizia a ridimensionare l'accaduto collocandolo in uno spazio temporale volto al passato. Si incomincia in questo modo a ridefinire un nuovo senso di normalità all'interno della propria vita e a trovare le risorse per andare avanti.
Si evidenzia quindi l'importanza di accompagnare le persone in un momento così delicato, indipendentemente dal fatto che vengano a chiedere esplicitamente aiuto, o che diano in apparenza la sensazione di potercela fare da soli e di non aver bisogno dell'aiuto di nessuno. Infatti anche se è vero che ognuno reagisce in modo diverso agli eventi traumatici, nessuno è immune dalla sofferenza.