Preferiamo di gran lunga le cheerleader alle imponenti parate dove sfilano strumenti di morte e uomini armati. Eppure, nella ferrea disciplina che stanno dimostrando le 229 ragazze nordcoreane che si sono esibite al Kwandong Hockey Centre, durante le partite della Nazionale coreana riunificata ai Giochi Olimpici di Pyeongchang, riscontriamo molte similitudini con le passerelle militari allestite dal regime di Kim Jong-un. Soldati diversi, molto più affascinanti ed aggraziati, praticamente invincibili nelle loro performances perché tecnicamente perfetti, di una perfezione che è davvero difficile da riscontrare nelle altre ragazze che si cimentano in questi numeri in altre parti del mondo.
Le vere protagoniste delle gare di hockey
Il torneo della Corea riunificata che si è concretizzato in un'unica nazionale di hockey femminile non è certamente andato bene, tre partite e tre sonore sconfitte con appena un punto realizzato e ben 20 subiti al cospetto di Svizzera, Svezia e Giappone. Ma probabilmente le partite non le ha viste nessuno, considerato che tutta l'attezione del pubblico è sempre stata catalizzata dalle straordinarie cheerleader di Pyongyang. Entrano nel palazzetto in fila ed hanno tutti gli occhi puntati addosso: disciplinate ed educate, prendono posto ed iniziano il loro show la cui sincronia è ai limiti dell'umano e sfiora la precisione robotica. Queste giovani, graziose e bravissime ragazze, tutte vestite uguali, finiscono per ipnotizzare letteralmente chiunque le guardi.
La loro squadra perde, ma è come se stesse dominando il match: cantano canzoni della tradizione nordcoreana, si accompagnano con le mani e si muovono a tempo. Calde e sorridenti, ma allo stesso tempo fredde ed imperturbabili, fanno ciò che devono fare e lo fanno benissimo. La loro esibizione prosegue anche dopo la fine della partita, per oltre un quarto d'ora continuano a cantare e ballare.
Poi salutano il pubblico, ripongono gli attrezzi ed il materiale usato per lo spettacolo in una sorta di rito, escono ordinate ed in fila così come sono entrate e si fermano nell'atrio del palasport, in attesa dei pullman (ben otto, scortati da sei auto della polizia) che le riporteranno in hotel.
La vita fuori dallo show
Le ragazze occupano 108 stanze d'albergo, quasi tutte doppie.
Ogni camera è dotata di tutti i confort immaginabili, comprese due tv con canali satellitari. Nei momenti riservati ai pasti scendono nella sala da ballo dell'hotel appositamente allestita, in gruppi (così come si usa nelle mense delle caserme). Impressionante la loro processione in fila per due: si siedono, mangiano, si rimettono in ordine e poi tornano in camera. Sono soldati di Pyongyang in missione e tutto viene regolato da un severo e disciplinato programma, anche quando devono recarsi in bagno dove non vanno mai sole, ma scortate da un accompagnatore. Le cheerleader nordcoreane sono selezionate tra le famiglie più in vista di Pyongyang attraverso criteri piuttosto severi: innanzitutto fisici, devono essere belle ed alte almeno 163 cm.
Poi anche anagrafici, non devono avere più di 20 anni. Dal punto di vista tecnico devono possedere una certa predisposizione al lavoro di gruppo, ovviamente devono essere fedeli al regime, ultima e non meno importante caratteristica, anzi fondamentale. Se da un lato hanno dato a questi Giochi Olimpici un'immagine indescrivibile di fascino e bravura, dall'altro ci lascia sconcertati la loro disciplina di stampo militare: tolte le armi, è come assistere ad una delle fastose parate del regime nordcoreano che sembrano davvero tratte da un libro di George Orwell. Le cheerleader, infine, non sono pagate per le loro performances: per loro il premio più grande è quello di 'servire' il leader supremo e di viaggiare. Considerato che hanno così poche occasioni di vedere il resto del mondo, pensiamo che il secondo in particolare sia il premio più gradito.