"Papà, chi ha ucciso Lorys?" Era prevedibile che, prima o poi, il piccolo Diego pretendesse una spiegazione per la morte del fratellino. Scegliere di raccontargli la cruda verità non dev'essere stato facile per il giovane padre, impreparato e tuttavia coraggioso nell'affrontare ancora una volta, e stavolta in una condizione emotiva ben più delicata, una questione che nessun papà al mondo meriterebbe di dover affrontare.
Una triste verità
A tre anni dalla morte di Lorys Stival, il cui corpo fu ritrovato a novembre del 2014 in un canalone della periferia di Santa Croce Camerina, nel ragusano, esce il Libro "Nel nome di Lorys, la verità per i miei figli", scritto da Davide Stival, in collaborazione con il giornalista Simone Toscano e l'avvocato Daniele Scrofani, Edizioni Piemme.
Un libro che racconta la tragedia di un giovane uomo, costretto a rivedere il suo vissuto comune, da marito, padre e lavoratore, sotto un nuovo drammatico aspetto, dietro una realtà solo apparentemente "normale", che invece celava chissà quali disagi e squallide verità nelle giustificazioni e nelle improbabili accuse che la moglie, Veronica Panarello, anima inquieta in un corpo esile, ha mosso via via prima ad ipotetici maniaci, poi addirittura al suocero, additato come amante e complice. Condannata a trent'anni per aver ucciso suo figlio, già separata dal marito, oggi ha perso la patria potestà sul secondogenito e le è stato negato il diritto a vederlo e ad essere aggiornata sulla sua crescita.
È stata la mamma a fargli del male
Questa l'unica amara risposta possibile alla domanda del bambino, che non vede la madre da allora e che non la vedrà in futuro, data la decisione del tribunale. La reazione? Silenzio. Davide Stival racconta che non ci sono state scene di disperazione, nessun pianto. L'argomento è caduto lì e non si è più riaperto.
Tuttavia, come era prevedibile, in occasione di un'attività scolastica in cui era richiesto ai bambini di disegnare e descrivere il proprio nucleo familiare, è chiaramente emersa l'elaborazione del lutto, attraverso il disegno di un personaggio nero con in mano un coltello e, a terra, un bambino, immerso nel sangue. Un'immagine agghiacciante a cui, in seguito alla richiesta di spiegazioni da parte degli psicologi, il piccolo ha aggiunto un poliziotto con una pistola in mano, puntata verso l'"uomo nero".
L'incursione del poliziotto nel disegno ha determinato una sorta di catarsi nel bambino, che si è sentito sollevato e ha ridisegnato un nucleo familiare normale, formato da sé stesso, il papà, gli zii e una casa con l'arcobaleno.
Diego oggi, grazie al nuovo assetto familiare e al sostegno del padre, è un bambino sostanzialmente sereno, compatibilmente con la situazione psicologica con cui dovrà sempre fare i conti. "A Diego non manca nulla. Per adesso sono io a pensare a lui - racconta Davide - Siamo in due: a lui sono rimasto io, a me lui". E all'ex moglie, colei che avrebbe dovuto custodire suo figlio, rivolge un unico pensiero: "Ha distrutto tutti, compresa se stessa. A causa sua purtroppo nulla potrà mai tornare come prima".