Il nostro Paese non è nuovo alla violenza nelle scuole, non a caso l'ultimo episodio risale alla settimana scorsa ed ha avuto luogo a Pomezia. Non è passato molto, infatti, dal triste avvenimento: tre maestre di una scuola dell'infanzia statale, ora agli arresti domiciliari, sono state accusate di maltrattamenti ai bambini sotto la loro supervisione, almeno fin quando non sono intervenuti i carabinieri. Le accuse sono scaturite dopo le denuncie di quattro mamme, scosse dagli atteggiamenti dei propri figli vessati, in seguito alle quali sono state installate delle telecamere all'interno della scuola.

Riprese aberranti che immortalavano la quotidianità di quella scuola materna hanno fatto scattare le indagini, confermando gli iniziali sospetti dei genitori: i piccoli (d'età compresa tra i tre e i cinque anni) solevano subire copiosamente violenza fisica, morale e psicologica, una prassi, a quanto pare reiterata giornalmente dalle educatrici.

Il caso nel dettaglio

In particolare, i bambini erano sottoposti, per usare un eufemismo, a strattonamenti molto decisi, offese verbali e insulti come "brutto" e "cattivo", ma anche minacciati di non tornare a casa. Se alcuni venivano solo costretti, come punizione, a inginocchiarsi in un angolo o a sedersi isolati dagli altri, altri erano vittime fisiche di comportamenti efferati che esulano da qualunque approccio educativo funzionante, perché essere presi e scossi per le braccia o per il grembiule, o essere presi per capelli e colpiti malamente, trascinati a terra, rinchiusi in un ripostiglio, scaraventati sul pavimento, non sono in alcuna misura atti educativi.

Si parla di cinque soggetti maggiormente tormentati, ma non sono esenti anche gli altri, frequentemente vessati da stati d'ansia, rabbia e paura.

Arrestate immediatamente dalle autorità competenti, le tre fautrici sono ora incastrate in un procedimento penale per il reato di maltrattamento, colpevoli di potenziali lesioni psico-fisiche ai bambini presi di mira, in attesa di essere interrogate dal Gip.

"La notizia ha sconvolto tutta la cittadinanza. Questi arresti destano molta preoccupazione perché riguardano persone a cui tutti noi affidiamo i nostri figli quotidianamente. Quando si toccano i bambini e si vanifica il ruolo educativo e formativo delle scuole di ogni ordine e grado è una sconfitta per tutti". Queste le parole del sindaco di Pomezia, Fabio Fucci, che ha così commentato l'arresto delle tre insegnanti.

"Ringrazio le forze dell'ordine per il loro lavoro e confido nell'operato degli inquirenti per la conclusione delle indagini al più presto".

Questa vicenda apre una riflessione non indifferente sul significato concreto di educazione infantile, un concetto su cui ruminarono alcuni tra i più importanti pedagogisti della storia, dalle sorelle Agazzi alla Montessori, da Pestalozzi ad Aporti, da Comenio alla Miller, ma soprattutto Fröbel, che predilisse, nel suo pensiero pedagogico, il ruolo del giardino dell'infanzia, dell'attività ludica e dei doni utilitaristici, in netta contrapposizione con la pedagogia nera, che suffragava una condotta violenta per un "ammaestramento" più rigido e rigoroso.

Ma andiamo per gradi.

La punizione come lezione

Esiste veramente ed è il classico approccio educativo che i racconti dei nostri parenti più anziani o il cinema ci hanno illustrato come prettamente connesso alla realtà dei collegi o delle scuole materne private... o dei campi di lavoro, ma sarebbe un discorso troppo ampio: la pedagogia nera è fattualmente una branca della scienza dell'educazione, ormai perlopiù bistrattata a livello scolastico e incentrata sul castigo fisico e psicologico come unica soluzione educativa contemplata ed efficace. Essa ritiene la punizione il miglior metodo correttivo nei confronti degli atteggiamenti scorretti o inappropriati degli infanti, ma non è inflitta solo dai docenti, quanto anche dai genitori o dai tutori (ebbene sì, quando ci sculacciano da piccoli si tratta di pedagogia nera).

Questo strumento educativo legittima a sanzionare con la violenza le ingenue sregolatezze dei più piccoli, che hanno il bisogno di essere educati alla vita, quasi anticipando le pene a cui va incontro una condotta illegale nell'età adulta. Dogmaticamente certi che il bambino sia tendenzialmente portatore di abitudini viziose, autolesioniste, antisociali e antimorali, gli educatori che aderiscono a questo approccio educativo correggono tali disposizioni con metodi corporali, caricando queste pratiche di un fine didattico e istruttivo: l'unica convinzione che tali educatori nutrono quando perpetrano la punizione psico-fisica ai bambini è che passi un particolare messaggio di rispetto delle regole, la cui infrazione o trasgressione comporta inevitabili conseguenze, senza ingenerare confusioni dovute alla scarsa capacità, da parte dell'infante, di comprendere certe situazioni a livelli più complessi.

Una dei principali studiosi della pedagogia nera, ovviamente contraria ad essa, fu Alice Miller, che argomentò in dodici punti come la punizione corporale produca, nel bambino, "un dolore non passibile di rimozione e un trauma psicologico che potrebbero segnare (attraverso meccanismi di reazione come l'autoritarismo e il disturbo depressivo) il suo sviluppo nella fase adulta".

La vita come un gioco

Guardando all'altra faccia della medaglia, tuttavia, discernere i vari pensatori, tutti compatibili con la riflessione sul tema, costituisce veramente un'impresa non da poco, con un enorme contributo fornito dalle Agazzi e dalla Montessori in merito. Ma, a discrezione dell'autore, lo studioso più calzante pare essere proprio Friedrich Fröbel, accreditato nella storia della pedagogia come il creatore dei suddetti "Giardini d'infanzia" (i famosi "Kindergarten", ossia gli asili).

Mutuando il suo sostrato filosofico da Schelling e Schiller, secondo Fröbel la maniera propria dell'infanzia di vivere l'unità originaria (quell'Assoluto da cui si diramano natura e spirito) si manifesta nella divina libertà del gioco, che a suo modo riproduce la dialettica del mondo. Ed è proprio dal gioco che si deve partire per edificare la formazione personale dell'infante su basi dettate dalle leggi dell'armonia, per conseguire l'autodeterminazione dell'individuo educato.

Il gioco, in ogni caso, non va confuso con il trastullo perditempo: il bambino gioca anche imitando i genitori e i fratelli, assistendo al lavoro degli adulti e in qualche misura cercando di rendersi altrettanto utile, mettendo alla prova se stesso e confrontandosi col mondo.

Sempre a detta del pedagogista,inoltre, ad alimentare l'attività dello spirito infantile deve provvedere un ambiente appropriato, un "giardino" che incorpori i bimbi come "fiori delicati da coltivare" e il loro ambiente come un "vivaio" di gesti, pensieri e sentimenti gentili in un'atmosfera di gioco. Coerentemente, perciò, questa piccola pre-scuola si apre su un portico, su un giardino reale dove la natura possa offrire il concerto e la tavolozza delle sue stagioni. E, in effetti, uno studio recente ha dimostrato proprio che crescere a contatto con la natura rende più intelligenti, quindi Fröbel ci aveva visto giusto già due secoli fa.

Nella formulazione pedagogica froebeliana, l'ambiente deve offrire del materiale didattico semplice ma efficace, i cosiddetti doni, ossia oggetti e giocattoli regalati come occasioni di gioco e apprendimento passivo, accompagnati da festose rime e canzoni e di volta in volta più complessi per favorire uno sviluppo fisico e intellettivo graduale ma progressivo, peraltro basilarmente settorializzato (impossibile non rintracciare qui un silente rimando al geometrismo dell'altrettanto importante Pestalozzi).

Ne seguono, poi, le prime occasioni di educazione linguistica e musicale.

Gli esercizi paralleli, invece, prendono le sembianze di vere e proprie "occupazioni" (modellare, intrecciare striscioline di carta colorata, infilare collane di perline, cucire), acuiscono l'attenzione, la percezione spaziale, l'avviamento al conteggio, la manualità, la regolazione fine delle dita, insieme al senso decorativo ed estetico, e disciplinano il bambino stesso in vista della futura maturità.

Insomma, per concludere citando lo stesso Fröbel, "il gioco è la più spirituale e autentica manifestazione dell'uomo nell'infanzia, l'immagine più fedele della sua vita interiore... è la causa e l'origine di ogni bene, perché il fanciullo che gioca con costanza ed energia e dedica se stesso al gioco fino alla stanchezza, diverrà in futuro indubbiamente un uomo attivo, tranquillo, tenace, disposto a sacrificarsi per il bene degli altri".

Una visione fortunatamente dissimile dalle depravazioni di quelle donne oggi, a buon rendere, arrestate che, si spera, vengano presto condannate, anche come monito per i futuri responsabili di simili degenerazioni perverse.