Il bollettino annuale EMCDDA mostra l'uso di droghe pesanti e leggere in Europa e la loro rispettiva diffusione. Stando agli ultimi dati fuoriusciti, l'Italia si trova al terzo posto e la percentuale di persone tra i 15 e i 64 anni che fa uso di stupefacenti si aggira intorno al 22%. Le sostanze più utilizzate in Italia risultano essere marijuana e cocaina, inoltre quest'ultima detiene anche il primato come droga più confiscata. Altre notizie riguardano il mercato delle nuove sostanze psicoattive, per lo più provenienti dalla Cina. Anche se l'introduzione di politiche più restrittive e l'aumento dei controlli nel paese orientale ha penalizzato questo nuovo mercato, fortemente in crescita, risulta invece in aumento la percentuale riguardante i nuovi sperimentatori delle droghe-farmaco.

Il dato più allarmante risale al 2014, quando le nuove sostanze psicoattive risultarono essere 101, sotto segnalazione degli stati-membro dell'Unione Europea. L'unica rassicurazione deriva dal numero di morti per overdose, fortemente in calo. L'Italia è infatti passata dai 1200 morti annuali nel 1995, ai soli 200 del 2017.

Se questo bollettino ha il compito di mostrare l'attuale scenario dell'utilizzo di droghe, è stato invece il proibizionismo a combattere il fenomeno in questione.

Una storia di proibizioni

Il primo uso del termine proibizionismo, con l'accezione contemporanea, risale al XVIII emendamento in America, e il relativo divieto di fabbricazione, importazione, vendita e trasporto di alcool nel 1920.

Ciò che vollero combattere era un vero e proprio fenomeno sociale, uno stile di vita portato all'esasperazione, che non produceva altro che aggressività, violenza e smarrimento. Il senatore Andrew Volstead pronunciava fiero queste parole, all'indomani della vittoriosa campagna che portò al proibizionismo: "I quartieri umili presto apparterranno al passato.

Le prigioni e i riformatori resteranno vuoti. Tutti gli uomini cammineranno di nuovo eretti, tutte le donne sorrideranno e tutti i bambini rideranno. Le porte dell'inferno si sono chiuse per sempre." La politica proibizionista risale però alle meno recenti società di temperanza, ovvero gruppi politico-religiosi, che attraverso iniziative di lobbying, hanno spinto vari governi ad intraprendere politiche restrittive in svariati campi.

Si ricordi la società "New York Society for the suppression of vice" lottava per l'abolizione di stampe erotiche, fino ai testi di biologia che rappresentassero scene di nudo.

Lo stesso alone moralista portò poi al bando dell'oppio nel 1914, seguito dalle già citate bevande alcoliche, che subirono un incremento della pena nel 1929, con l'introduzione di un severo divieto per il consumo, fino ad arrivare al marijuana tax act del 1937, anche se in un contesto diverso.

Il tentativo di promuovere uno stile di vita più sano, dando un nuovo volto alla nazione, doveva però fare i conti con la realtà* . A New York, nello stesso anno dell'entrata in vigore del XVIII emendamento, si contavano 32000 speak-easy, i cosiddetti bar clandestini in cui si consumava alcool, contro i 15000 rivenditori legali precedenti la proibizione.

Chi intendeva consumare la sostanza non ne era impossibilitato, ma semplicemente costretto a rivolgersi al mercato nero, pagando una somma infinitamente maggiore, contribuendo allo sviluppo di bande malavitose, dove si registrarono tra l'altro le attività criminali di Joseph P. Kennedy sr., padre del futuro presidente degli Stati Uniti.

La violenza, inoltre, non comprendeva esclusivamente il regolamento di conti tra bande, o gli scontri armati con le forze dell'ordine, ma a rimetterci furono anche numerosi civili. Senza tralasciare i problemi relativi al mancato controllo sulla qualità, come il diffondersi dell'avvelenamento da alcool del legno, a causa delle sostanze per "Allungare i beveroni." Lo stesso discorso può essere valido per altre sostanze, e il risultato di certe politiche simile.

Il comportamento patriarcale delle società proibizioniste è stato accusato di tagliare la testa dell'Idra, per vederne poi spuntare altre 2, di non curare la patologia, ma i manifesti effetti collaterali. Sul versante opposto, con una politica di accettazione comprensiva e condiscendente, che non penalizzi, ma reindirizzi, si stanno muovendo gli antiproibizionisti, speranzosi di ottenere più successi dei propri antagonisti.