Si continua a parlare di assegno di mantenimento dopo il nuovo art. 570 bis c.p., che amplia le ipotesi di tutela previste in favore dei familiari. La nuova norma stabilisce che se il coniuge non paga il mantenimento dopo la separazione o il divorzio, può scattare la multa da 103 a 1.032 euro o la reclusione fino a un anno.

La violazione degli obblighi di natura economica può consistere nella mancata corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio. Si tratta, dunque, di un rafforzamento al sistema di garanzie preesistente, che mira a tutelare il coniuge più debole economicamente e i figli, in caso di rottura della relazione familiare.

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 11553/2018, ha statuito sul tema che la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio travolge irreversibilmente l'assegno di mantenimento disposto dopo il giudizio di separazione. Il caso di specie da cui trae origine tale decisione riguarda, appunto, il ricorso di un uomo nei confronti dell'ex moglie, alla quale era tenuto a versare un assegno di mantenimento di 250 euro ogni mese.

No al mantenimento se la Chiesa annulla il matrimonio

Dopo la sentenza della Chiesa, che ha sancito la nullità del matrimonio, la richiesta dell'ex coniuge di revocare l'obbligo del mantenimento era stata accolta dal Tribunale, ma respinta dalla Corte d'appello.

Contro il responso di quest'ultima, che aveva giudicato inaccettabile l'istanza di revoca, l'ex marito ha fatto ricorso in Corte di Cassazione, la quale ha accolto la sua richiesta. I giudici di legittimità, infatti, hanno spiegato gli effetti sull'assegno di mantenimento che scaturiscono dal provvedimento che attribuisce efficacia civile alla sentenza della Chiesa di nullità del vincolo matrimoniale.

La Suprema Corte ha sviscerato le motivazioni, iniziando a tracciare una netta distinzione tra assegno di mantenimento che presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e assegno di divorzio, basato invece su diversi criteri, vista anche l'estinzione definitiva del rapporto matrimoniale. In questi casi, infatti, viene meno il dovere di assistenza morale e materiale nei confronti dell'ex.

Di conseguenza, gli "ermellini" hanno rigettato la tesi della Corte d'appello, che aveva ribadito l'intangibilità dell'assegno divorzile, anche qualora dovesse subentrare una sentenza ecclesiastica di invalidità del vincolo coniugale, intervenuta dopo la pronuncia di separazione. Ne consegue che, in tali ipotesi, vengono travolte tutte le statuizioni economiche accessorie.

In conclusione, quando viene sancita l'invalidità originaria del vincolo matrimoniale, viene meno anche il riconoscimento dell'assegno, e quindi tutte le statuizioni economiche contenute nella sentenza di separazione e in quella di divorzio, anche quando queste sono passate in giudicato, non essendo più impugnabili.