E’ sempre una soddisfazione per il contribuente vessato da una cartella esattoriale vedere dichiararsela nulla. E’ questo quello che è successo pochi giorni con la sentenza n. 10481/2018, pronunciata dalla Corte di Cassazione che, di fatto, si è schierata a favore del contribuente, rigettando il ricorso dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale Campania che aveva annullato una cartella di pagamento per recupero Irpef .

Il caso di specie sottoposto all’esame degli Ermellini: i dettagli

Il caso da cui trae origine questa importante decisione riguarda, per l'appunto, l’impugnazione di una cartella esattoriale in cui non erano stati indicati i criteri di calcolo degli interessi dovuti (più nello specifico il tasso e la decorrenza del pagamento degli interessi).

Sotto tale profilo, dopo che la Commissione regionale ha ritenuto che la cartella era da considerarsi nulla, l’Agenzia delle Entrate ha deciso di fare ricorso per Cassazione avvalendosi del fatto che non fosse necessaria alcuna esplicitazione dei criteri di calcolo degli interessi perché questi erano predeterminati per legge e perché la cartella redatta rispettava scrupolosamente il modello ministeriale che non prevede questa specifica. I giudici di Piazza Cavour, però, sono giunti a conclusione opposta e hanno rigettato il ricorso del fisco sulla scorta delle seguenti motivazioni.

La cartella di pagamento deve motivare gli interessi maturati sul debito tributario

Per gli 'Ermellini', infatti, ci si deve mettere sempre dalla parte del contribuente, che deve poter verificare concretamente la correttezza del calcolo degli interessi.

Ecco, quindi, che occorre sempre indicare le modalità attraverso le quali si giunge alla cifra globale degli interessi dovuti. Se il contribuente non comprendesse il modo con cui viene calcolato il totale riportato nella cartella, non sarebbe neanche in grado di difendersi adeguatamente. Dunque la cartella di pagamento è da ritenersi illegittima.

L’importante principio è peraltro confermato anche da parte della giurisprudenza di legittimità (Cassazione sentenza n. 5554/2017), che precisa come in questi casi il cittadino è sempre legittimato ad impugnare l’atto dinanzi al giudice, entro 60 giorni dalla notifica della cartella. Per tutti gli atti della PA che non sono motivati in maniera completa e chiara scatterà quindi la nullità, allo stesso modo del caso di omessa spiegazione sul metodo di calcolo utilizzato.