Più di un milione di funzionari dell'apparato comunista cinese saranno impiegati per vivere a stretto contatto con le famiglie nella regione occidentale dello Xinjiang. È l'ultimo tentativo di Pechino di mantenere il controllo su un'area etnicamente predominata dagli uiguri, una minoranza turco-musulmana. Nello Xinjiang vivono 21 milioni di persone. Più di 8 milioni appartengono all'etnia degli uiguri. Oltre 7 milioni poi sono i cinesi di etnia han, quelli cioè che sono la stragrande maggioranza nel paese.
La presenza dei funzionari governativi nelle case (il progetto di 'Home stays'), annunciata dal governo, ha per obiettivo quelli che sono considerati nemici di stato: 'Terrorismo, separatismo ed estremismo religioso'.
Infatti, episodicamente, nella regione si manifestano scontri tra uiguri e stato centrale, come nel 2009, quando a seguito di una rivolta morirono circa 200 persone e ne furono ferite 1700. Nel 2014 è stata ufficialmente avviata la 'Guerra al terrore'.
Progetti 'Home stays'
I media di stato riportano che alle famiglie è richiesto di invitare i funzionari governativi con lo scopo di fornire informazioni dettagliate sulle loro vite e sulla loro visione Politica. Sono quindi previste forme di educazione politica da parte dei funzionari, che in alcune zone saranno "ospitati" anche per una settimana al mese.
Human Rights Watch ha evidenziato e condannato il programma 'Home stays' in un recente rapporto, considerandolo una grave violazione della privacy e dei diritti culturali di 11 milioni di persone appartenenti alle varie minoranze etniche nella regione.
Maya Wang, ricercatrice cinese per Human Rights Watch ha dichiarato alla CNN: 'È l'ultima forma di sorveglianza; è un programma di indottrinamento e assimilazione. È raccapricciante e perverso'.
Il programma 'Home stays' si è evoluto nel corso degli anni di guerra al terrore. Nel 2016 erano 110 mila i funzionari che si occupavano di visitare e monitorare con regolarità gli abitanti della regione.
Oggi sono più di un milione (secondo i dati del governo).
Secondo i media di stato, la maggior parte dei funzionari è di etnia han. Questi svolgono compiti semplici come l’insegnamento del cinese mandarino alle famiglie. Insegnano anche l’inno nazionale e si occupano di favorire la partecipazione della popolazione alle cerimonie settimanali riguardanti il saluto alla bandiera.
Nella regione sono, inoltre, diffusi campi di rieducazione, dove migliaia di uiguri musulmani sono detenuti con ragioni definite da HRW come arbitrarie. Secondo Rebiya Kadeer, leader uiguri in esilio, il tentativo cinese di assimilare la popolazione dello Xinjiang non fa altro che rafforzare l'identità uiguri.
Tecnologia invasiva
Oltre al programma 'Home stays' ed ai campi rieducativi (iniziative di vecchio stampo nella storia comunista, o più in generale dei totalitarismi), i tentativi di controllo di Pechino sono favoriti dalla tecnologia sempre più invasiva.
Per ottenere la carta d’identità ogni uiguro deve fornire dati biometrici come il dna, le impronte digitali, il gruppo sanguigno, la voce ed un’immagine del volto.
Questi dati, insieme a quelli sulla fede religiosa, alle telecamere di sicurezza, ai posti di blocco, alle stazioni di polizia prefabbricate, rendono la regione controllata in maniera capillare.
La modifica della società tradizionale
Ancora più violenta è poi l'oppressione verso gli uiguri provenienti dalla campagna: i musapir. Questi hanno una conoscenza estremamente limitata della lingua cinese, sono sprovvisti del permesso di residenza in città e sono profondamente religiosi.
Le cose, come racconta l'Internazionale, sono cambiate negli ultimi dieci anni. Prima, la vita di un musapir si svolgeva attorno ai bazar, seguendo un islam poco rigido.
Dopo gli scontri del luglio 2009 però, la vita del musulmano uiguro si è sempre più avvicinata alla moschea.
Dal 2014, il governo ha chiuso molte moschee, sorvegliando quelle rimaste aperte. La vita è dunque radicalmente cambiata.
Gli uiguri, poi, vengono spesso convinti, con metodi più o meno violenti, a lasciare la città e ritornare nei loro villaggi. Lì vengono posti sotto controllo con le tecniche già viste e se necessario rieducati negli appositi campi.
Distrutta la comunità tradizionale del bazar, il partito comunista cinese sostituisce quell'organizzazione sociale offrendo ai musapir la possibilità di lavorare nella polizia. Sono dunque gli uiguri stessi ad occuparsi della prima linea del controllo.
Nel 2017, infine, è stata attuata una legge anti-estremismo che proibisce le barbe lunghe, il velo in pubblico e le forme di insegnamento domestico.
Amnesty International ha parlato di discriminazioni diffuse nelle politiche abitative, nell'educazione e nell'occupazione, nonché, come si è detto, nella libertà di praticare la religione.
Tentativi di separatismo
Negli ultimi anni la tensione è aumentata, causando la risposta del governo di Pechino. La regione è geograficamente vasta, ricca di risorse e abitata (ma non in via esclusiva) da un'etnia diversa da quella cinese. Per altro, non è l'unica regione a soffrire il dominio cinese: il Tibet è l'altro grande, storico esempio. Il ricollocamento di cinesi han degli ultimi decenni (per bilanciare la presenza di uiguri) ha contribuito ad alzare il livello dello scontro.
Il governo da sempre parla di 'armonia etnica' e nei suoi ultimi tentativi ha posto l'accento sull'utilità del programma nel risolvere i problemi quotidiani della popolazione (come l'alcolismo o la raccolta dei rifiuti).
Nei fatti però, la presenza degli ispettori governativi non è gradita, nonostante le foto ufficiali in cui si vedono sorridenti insieme uiguri e funzionari di Pechino.
Il governo locale della regione autonoma non può e non vuole fare molto per difendere l’autonomia dei propri cittadini. Al momento infatti è guidata da Shohrat Zakir, un nome non tipicamente han. Zakir è un politico di etnia uiguri, lealista nei confronti di Xi Jinping. L'amministrazione di Zakir ha proseguito nella politica di arresti ritenuti dagli attivisti 'arbitrari' e soprattutto nel controllo basato su strumenti hi-tech.