Non erano passate ancora 24 ore dal verdetto del giudice a 3 anni di reclusione per abusi sessuali ai danni del docente universitario Francesco Parillo, il quale ha deciso di togliersi la vita con un mix di farmaci nella sua abitazione, prima di raggiungere il carcere. Inutile l’intervento dei medici, l’uomo è stato portato all’ospedale quando già non c’era più nulla da fare. Ha deciso di sottrarsi alla pena del suo crimine, del quale non si è mai assunto la responsabilità: nonostante 6 studenti avessero portato in tribunale la denuncia per abuso lui si è sempre dichiarato innocente.

Il tribunale non lo ha assecondato e la sentenza deve aver spinto l’uomo al suicidio.

Il suicido come via di fuga

Un contesto tanto drammatico quanto inusuale quello del professor Parillo: da lodevole professore a maniaco sessuale in poche ore, con una condanna a tre anni e un probabile crollo nervoso, che lo ha spinto infine verso il suicidio. Una storia triste ed estrema questa, che nell’ottica di un ragionamento ipotetico merita di considerare l’innocenza del docente: la psicologia ora ci aiuterà a capire le motivazioni che spingono un uomo con ancora molti anni di fronte a togliersi la vita.

Lo shock, il cambio radicale di vita, la delusione sul volto dei colleghi dei famigliari e degli amici, la perdita di fiducia verso una società che invece di tutelarlo lo condanna: tutte queste non sono certo delle attenuanti al suicidio, ma entriamo più nel dettaglio cercando di capire perché tre anni in prigione fossero insostenibili per la vittima.

Il bullismo sociale

Il suicidio è un’opzione che viene presa in considerazione quando ci si ritrova con le spalle al muro, quando si pensa di non aver alternative migliori, un ruolo che la vittima pensava di vestire, visto che una volta scontata la condanna avrebbe avuto molti altri anni da vivere; tuttavia non stiamo prendendo in considerazione la dinamica della vicenda, che per molti aspetti ricorda un tipico singolo episodio di bullismo.

Lo scenario tipico vede una vittima che viene isolata dal mondo, provato degli aiuti e umiliato fisicamente e psicologicamente: così la figura bullizzata sviluppa un senso di impotenza, l’incapacità di reagire se non con vie di fuga tragiche come appunto il suicidio. Parillo in questa metafora è la vittima, tradita dalla società che gli volta le spalle e umiliato come figura professionale e come uomo; bullizzato da una condanna non è stato in grado di accettare la pena e si è tolto la vita.

La scelta stessa del suicidio ci dovrebbe far riflettere sulla reale colpevolezza della vittima, in quanto un uomo colpevole è predisposto ad accettare la condanna, come tecnica atta all’espiazione delle sue colpe.