Nel 2011, tre studenti di Psicologia sociale si sono resi conto che negli esperimenti messi in atto per studiare il comportamento di un gruppo di individui, spesso vengono scartati dei risultati che possono andare contro alla teoria che si vuole provare. Questo ha creato un intenso dibattito tra gli studiosi di tale disciplina, tanto da spingere alcuni di loro a replicare alcuni dei più famosi esperimenti. Negli ultimi mesi, uno studioso francese ha messo in discussione uno dei più conosciuti esperimenti sociali dello scorso secolo: l'esperimento della prigione di Stanford.

E ha avanzato pesanti dubbi non solo sulla sua veridicità, ma anche sulla buona fede del suo esecutore. Oltre a ciò, il 7 giugno 2018, il giornalista americano Ben Blum ha pubblicato un articolo su Medium riportando l'esperienza di alcuni partecipanti all'esperimento.

Cos'è l'esperimento carcerario di Stanford

Nel 1971 il professor Philip Zimbardo mise in piedi un esperimento psicologico tramite il quale si andava ad indagare il comportamento di un gruppo di individui in cui questi sono definiti in base al gruppo di appartenenza. A questo esperimento parteciparono 24 studenti - sui 75 che si erano candidati - coloro che avevano mostrato minor tendenza a comportamenti antisociali e maggior equilibrio psicologico.

Questi vennero divisi casualmente in due gruppi, carcerati e secondini. Coloro che avevano il ruolo di detenuti furono tenuti per 6 giorni nelle celle ed erano obbligati ad indossare una lunga tunica bianca con dei numeri stampati davanti e dietro e portare in testa delle calze da donna che simulassero la rasatura. Questi erano costretti a seguire una rigida serie di regole.

Le guardie invece portavano una divisa color cachi e un paio di occhiali scuri che impedissero ai detenuti di guardarli negli occhi. A loro era concessa ampia discrezionalità sul comportamento da tenere, salvo la violenza.

Però vennero osservati casi di violenza psicologica sui carcerati che hanno indotto reazioni particolari da parte di questi ultimi, spingendo la ragazza del dottor Zimbardo a chiedere la chiusura anticipata dell'esperimento.

Secondo quanto accaduto, il professore disse che l'essere umano è portato a diventare carnefice in base alla sua posizione sociale che lo porta ad essere sopra gli altri piuttosto che l'indole ed eventuali predisposizioni dell'individuo stesso. In seguito alla pubblicazione di tale lavoro, le persone furono portate a pensare che il carcere, invece di un luogo di riabilitazione e reinserimento nella società, non era altro che un luogo disumano volto alla distruzione dell'essere umano e che questi dovevano essere sostituiti con dei centri di riabilitazione di diversa natura. Questa proposta fu ostacolata poiché i conservatori ritenevano il carcere come un qualcosa in grado di proteggere la società, tanto che le prigioni americane restarono invariate nella loro organizzazione e funzione.

Contestazioni dell'esperimento

Già dopo la sua pubblicazione, l'esperimento di Zimbardo fu oggetto di numerose contestazioni, principalmente per il fatto che questi non vennero pubblicati su una rivista scientifica, bensì sul New York Times Magazine, impedendo ad altri scienziati di verificare i risultati prima della pubblicazione. Altre critiche riguardavano invece l'ambiente e i soggetti scelti. Nel 2001 questo esperimento venne riprodotto dal professor Steve Reicher dell’università di St. Andrews e dal professor Alex Haslam dell’università di Exeter, i quali però ottennero dei risultati diversi rispetto a quelli ottenuti dal professor Zimbardo. Questo nuovo esperimento, trasmesso dalla BBC l'anno successivo con il nome “BBC Prison Study”, durò 9 giorni, rispetto agli 11 di quello del professor Zimbardo.

Dopo soli 6 giorni i detenuti cominciarono a ribellarsi, in quanto i secondini non si erano integrati bene nel loro ruolo, portando i carcerati a prendere il controllo della situazione.

Successivamente a degli attriti interni al gruppo, alcuni dei detenuti si coalizzarono con i secondini. A quel punto l'esperimento fu chiuso. Le conclusioni a cui arrivarono i professori britannici furono diverse rispetto a quelle del collega americano. Secondo loro, per far sì che si instauri una tirannia, deve esserci prima una leadership ben precisa all'interno del gruppo e successivamente si deve creare un progetto autoritario che possa andare a risolvere i problemi in modo concreto. I due professori inglesi giunsero alla conclusione che il professor Zimbardo influenzò in qualche modo l'esperimento ponendosi come leader dei secondini fornendo delle "linee guida" che avrebbero dovuto seguire.

Douglas Korpi, uno dei carcerati intervistati da Blum, raccontò che era convinto che durante l'esperimento avrebbe avuto del tempo per poter preparare un esame, cosa che non avvenne, in quanto non gli consegnarono i libri che gli servivano. Così decise di andarsene, ma la cosa gli fu negata. A costo di andarsene, dopo sole 36 ore finse di avere un esaurimento nervoso. Dai video di repertorio si vede lo stesso Korpi prendere a calci la porta imprecando, ma la cosa fu giustificata dal professore come una reazione ai trattamenti subiti dai secondini. Ma Korpi disse anche che quella reazione non era dovuta al trattamento subito dai secondini, ma dalla paura di non potersene andare per poter preparare il suo esame.

Infatti dal suo racconto sembrava essersi divertito in quei giorni passati nella prigione. Le testimonianze di altri due detenuti, Richard Yacco e Clay Ramsay, sono andate a confermare quanto detto da Korpi. Ramsay, pur di andarsene aveva cominciato uno sciopero della fame con la convinzione che questo avrebbe preoccupato i supervisori dell'esperimento.

Lo scorso aprile, un ricercatore francese Thibault Le Textier riaprì le polemiche contro l'esperimento di Zimbardo pubblicando il libro “Storia di una menzogna: inchiesta sull’esperimento di Stanford” (in francese "Histoire d’un mensonge: enquête sur l’expérience de Stanford"). Secondo alcuni documenti ritrovati a Stanford, che riportavano una conversazione del professor Zimbardo, due dei carcerati avevano chiesto di abbandonare l'esperimento, ma lui negò loro questa possibilità pur essendo i partecipanti liberi di andarsene quando volevano.

Il professore si difese dicendo che nel consenso informato firmato da loro prima dell'inizio dell'esperimento c'era scritto che l'unico modo per abbandonare l'esperimento era quello di pronunciare la frase "Lascio l'esperimento", cosa che nessuno dei partecipanti fece. Ma nessuno dei consensi informati pubblicati contiene questo riferimento.

Uno dei secondini inoltre ha raccontato che il suo comportamento non fu casuale, ma gli venne suggerito di forzare un po' la situazione per far sì che accadesse qualcosa. Le guardie dovevano fare in modo che i carcerati seguissero delle regole che però erano state suggerite dagli stessi fautori dell'esperimento, invece che essere create dai secondini stessi.

Un altro dubbio è nato da un testo scritto dallo stesso Zimbardo in cui veniva evidenziato che non tutte le guardie avevano sviluppato un comportamento tirannico, portando ad una sopravvalutazione dei comportamenti violenti marcando solamente i comportamenti sadici sviluppati da alcune delle guardie. In ogni caso, ci sono degli aspetti controversi che andrebbero chiariti meglio dato che questo esperimento ha avuto un enorme impatto sull'opinione pubblica.