Del sangue di maiale e una t-shirt con finti fori di pallottole sono il materiale utilizzato dal giornalista russo Arkady Babchenko per inscenare la propria morte martedì 29 maggio. Con l'aiuto di un truccatore, Babchenko ha fatto scattare la foto che è stata poi diffusa dalla stampa: i media ucraini e russi hanno confermato la notizia dell'attentato ai danni del giornalista qualche giorno fa. Babchenko sarebbe stato trovato da sua moglie ferito da tre colpi di arma da fuoco nel suo appartamento a Kiev, per poi morire in ambulanza durante il tragitto verso l'ospedale.

Tuttavia, mercoledì si è presentato ad una conferenza stampa nella sede dei servizi segreti ucraini, vivo e in buona salute, per smentire la notizia diffusa il giorno prima. Il tutto sarebbe stato organizzato dal giornalista e dall'intelligence ucraina per impedire un vero attentato organizzato ai danni del giornalista. Sempre secondo quanto dichiarato dai servizi segreti ucraini, una persona è stata arrestata: un cittadino ucraino incaricato dalla Russia di uccidere Babchenko.

Le minacce di morte e la fuga

''Chiedo scusa in modo particolare a mia moglie Olechka. Mi dispiace, ma non c’erano altre opzioni." Ha dichiarato Babchenko. Secondo il giornalista, l’operazione ha richiesto due mesi di preparazione, e lui stesso è stato avvertito appena un mese prima.

Operazione che a quanto pare è stata efficace, perché ha portato all'arresto di una persona, Boris Gherman. Noto critico di Vladimir Putin, il giornalista quarantunenne ha lasciato la Russia nel 2017, quando ha ricevuto minacce di morte a causa di un post su Facebook che trattava dell'incidente aereo del Tupolev Tu-154 del 2016.

Da allora ha vissuto a Praga, in Repubblica Ceca, poi in Israele e infine a Kiev, dove ha lavorato per il canale TV ATR. Babchenko ha raccontato che informato dai servizi segreti del pericolo in cui si trovava, ha pensato inizialmente di fuggire verso il Polo Nord - però si è ricordato di Skripal. Con l'obiettivo di rimanere vivo, quindi, ha accettato di partecipare alla sua finta morte.

Ora si trova in una località segreta e otterrà presto la cittadinanza ucraina.

Le critiche

Il giornalista è stato fortemente criticato per la messinscena. Andrei Soldatov, giornalista investigativo russo, ha dichiarato con un post su Twitter: "Si è superato il limite alla grande. Babchenko è un giornalista, non un poliziotto, e parte del nostro lavoro è basato sulla fiducia. (...) così facendo ha indebolito ancora di più la credibilità dei giornalisti e dei media ". L'azione di Babchenko è stata liquidata come qualcosa di profondamente dannoso per la stampa e per la sua immagine. Se persino i giornalisti professionisti diffondono deliberatamente delle cosiddette 'fake news', la questione che si pone è quella di capire chi difenderà la credibilità della stampa nel suo complesso.

Kevin Rothrock, giornalista del Moscow Times, si è scusato per la notizia data martedì che si è rivelata falsa, e ha aggiunto: "La lezione di oggi è quella di diffidare delle notizie che arrivano dall’Ucraina". Babchenko, in riposta, ha dichiarato che il suo obiettivo fosse quello di rimanere vivo, piuttosto che quello di dedicarsi all’etica del giornalismo. Avrebbe definito in seguito i suoi critici come "i custodi della moralità delusi dal fatto che io in qualche modo erroneamente, a loro parere, non sono morto”.

Etica e azione

La questione a cui ci riporta la vicenda è sempre la stessa, ovvero quella che riguarda i limiti che caratterizzano l'etica o più generalmente la morale, e l'azione. Babchenko ha agito per motivi diversi, primo tra i quali quello di rimanere vivo; ma così facendo avrebbe messo a repentaglio la credibilità dei media e della sua stessa professione.

Una domanda che potremmo porci tuttavia è quella di sapere se non stiamo forse perdendo di vista il vero punto della questione. L'azione di Babchenko dovrebbe attirare la nostra attenzione sulla situazione in cui si è trovato e in cui si trovano altri giornalisti come lui. Non è né il primo né l'ultimo giornalista ad essere minacciato di morte. Altri non sono stati così fortunati da poter risorgere il giorno dopo, come la giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, uccisa l'anno scorso; oppure sono in prigione da anni, come il foto-giornalista egiziano Shawkan. Babchenko forse non ha utilizzato nel modo migliore i mezzi che ha a disposizione per denunciare il pericolo in cui si è trovato; ma non è detto che un utilizzo totalmente “etico'' della stampa gli avrebbe permesso di sopravvivere.

Per quanto sia necessario difendere, soprattutto in un contesto come quello attuale costellato di fake news e di manipolazioni dell'informazione, una stampa libera e sulla quale si può fare affidamento, può succedere di dover ricorrere a mezzi non esattamente rispettosi dell'etica della professione per riparasi da un chiaro attacco contro la stessa libertà di stampa.