Ieri, 19 luglio, ricorreva l’anniversario della strage di via D’Amelio in cui persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e i cinque ragazzi della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. È impossibile dimenticarsi di questo drammatico avvenimento e non pensare al lavoro del giudice palermitano e a quello dei suoi angeli, che gli guardavano le spalle ovunque. Tutti noi abbiamo davanti agli occhi il viso di Paolo Borsellino ma più difficile è ricordare i volti di quei cinque ragazzi che, con lui, hanno perso la vita in quell'afoso pomeriggio di 26 anni fa.
Tra loro c’era una giovane donna, Emanuela Loi, che da quella domenica di luglio divenne la prima donna in divisa a morire in servizio per mano della mafia. A lei sono dedicate strade, piazze e scuole. Una ragazza semplice, sorridente, con tanti sogni nel cassetto come qualsiasi altra ragazza della sua età, ma con un coraggio e una determinazione fuori dal comune.
Chi era Emanuela Loi
Emanuela, residente a Sestu (Ca), nacque a Cagliari nell’ottobre 1967. Nel capoluogo sardo conseguì il diploma magistrale: adorava i bambini e fece anche il concorso per diventare maestra, il suo sogno. Ma il destino aveva per lei altri programmi. La donna infatti tentò, insieme alla sorella Claudia, il concorso in polizia.
Emanuela passò subito, Claudia no, entrò in graduatoria, in attesa della chiamata. “Partecipavamo a tutte le selezioni: per la scuola, le poste e la Polizia che per la verità piaceva a me, non a lei. Fu promossa a pieni voti, la chiamarono a Trieste per il corso di sei mesi e lì le arrivò la notizia: aveva vinto anche la cattedra.
Decise di finire il corso”, ha dichiarato la sorella Claudia al quotidiano sardo l’Unione Sarda. Così, nel 1989, Emanuela entrò nella Polizia di Stato e solo due anni dopo fu trasferita a Palermo dove ricoprì diversi incarichi: piantone a Villa Pajno, a casa dell'onorevole Mattarella, poi membro della scorta della senatrice Pina Maisano Grassi, guardia al boss Francesco Madonia, agente della scorta di Arnaldo La Barbera, allora capo della squadra mobile di Palermo.
Il coraggio di Emanuela
Stare a Palermo in quegli anni non era di certo facile, e non solo per la lontananza da famiglia e affetti. La Sicilia, tra gli anni Ottanta e Novanta, era martoriata dall'attività della mafia che non si faceva nessuno scrupolo ad uccidere magistrati e poliziotti. Nel capoluogo siciliano, Emanuela dovette anche affrontare le prese in giro degli adolescenti che non prendevano sul serio una donna in divisa. Ma la giovane non si scoraggiò, decise di andare avanti con una forza fuori dal comune, soprattutto per una ragazza di soli 24 anni. La notizia della strage di Capaci, in cui persero la vita Giovanni Falcone, sua moglie e tre uomini della scorta, scosse profondamente i poliziotti, tra cui la stessa Emanuela.
Ma la paura non prese il sopravvento, neanche quando le comunicarono che sarebbe entrata a far parte delle scorte, solo 15 giorni prima di quel maledetto 19 luglio. Non si tirò indietro, continuò a seguire la sua missione con dedizione, determinazione e coraggio. “E' il mio lavoro, non posso tirarmi indietro” ripeteva. Anzi, ad amici e parenti preoccupati per lei, per rassicurarli, diceva: “Ma dai, finché non vengo assegnata a Borsellino non corro nessun rischio. Solo con lui mi possono ammazzare”. E, fatalmente, il 17 luglio, dopo essere stata in vacanza nella sua Sardegna, fu assegnata proprio a Paolo Borsellino, che vedendola disse: “Tu fai la scorta a me? Dovrei essere io a farla a te”. Due giorni dopo, il 19 luglio alle 16.58, appena Emanuela e il giudice scesero dall’auto per andare verso l’ingresso del palazzo in cui abitava l’anziana madre del magistrato, una Fiat 126 esplose, ponendo fine alla vita di Emanuela, Paolo Borsellino, Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli.
E dire che Emanuela, di solito, non faceva parte della scorta di Borsellino. Era assegnata ad Arnaldo La Barbera che però quel fine settimana era in vacanza e allora venne destinata alla squadra del magistrato palermitano. Ma il destino si mise di mezzo. A lei sono dedicate numerose piazze, vie, scuole, parchi, ponti. Emanuela non c'è più, il suo ricordo invece sì. Vivo e forte, com'era Emanuela.