Si chiamava Daphne Caruana Galizia, la giornalista uccisa esattamente dodici mesi fa a Malta. Per lei, nel suo nome, nel suo ricordo e per il riscatto della sua professione, si sono riunite circa cinquemila persone, a Valletta, per chiedere “giustizia e verità”. In tanti hanno risposto all'appello di “Occupy Justice”: un incontro per ricordare alle istituzioni ciò che sembrerebbe ormai appartenere al passato più remoto, un caso di omicidio rimasto senza risposte e senza una volontà manifesta di cambiare le cose.

Il silenzio dello Stato

A spezzare sul nascere ogni tentativo di ricordo della giornalista, come fiori o oggetti lasciati in memoria della giovane donna, è stato il Governo laburista di Joseph Muscat , con la giustificazione di tenere al “decoro urbano”.

Una sfida notte-tempo nel vero senso della parola, con gli attivisti a ripristinare ciò che puntualmente il Governo faceva rimuovere. Attivisti presenti anche durante la manifestazione, sostenuti dalla famiglia al completo e da alcuni politici schieratisi sin dall'inizio dalla parte di Daphne e della verità.

Unione dei cittadini di Malta e solidarietà da parte dei giornalisti italiani, che nei giorni scorsi hanno firmato un appello dal nome “Cerchiamo i mandanti”, con l'hashtag #60 per Daphne, subito seguiti da Fnsi, Usigrai, Ordine, Articolo 21, "No Bavaglio". Ciò che è venuto a mancare sull'isola "è il rispetto delle libertà fondamentali e il sostegno dell'autorità giudiziaria", come ha ribadito la delegazione per i diritti umani ricevuta dal Primo Ministro Muscat.

Nel frattempo, nessuna dimissione da parte delle figure governative accusate dalla stessa Daphne per corruzione e riciclaggio, mentre arriva la comunicazione dell'invio – da parte del Consiglio d'Europa – di Pieter Omtzig, che avrà il compito di monitorare le procedure di indagine dell'omicidio della giornalista, ed il cui arrivo è previsto per il 21 di ottobre.

Dopo 365 giorni, nessuna traccia sui mandanti, mentre si conosce bene la direzione delle inchieste che stava conducendo Daphne prima della sua morte: la giornalista infatti era arrivata fino alla moglie dell'attuale Primo Ministro Muscat, accusata di gestire una società offshore panamense. Un epilogo preceduto da indagini su corruzione, infiltrazioni mafiose, riciclaggio e sui tanto temuti Malta files, legati agli ormai famosi Panama Papers.