Marcello Tilloca da tempo è rinchiuso nel carcere sassarese di Bancali. Con la pesante accusa di aver strangolato – lo scorso 23 dicembre – la moglie Michela Fiori. Gli scorsi giorni l’uomo ha inviato una lettera dalla sua cella – 33 righe scritte in stampatello – alla redazione del quotidiano “La Nuova Sardegna”. Nella missiva Marcello Tilloca non fa mai il nome di Michela. Non mostra assolutamente nessun segno di pentimento per quello che ha combinato. E non parla nemmeno dei suoi figli, diventati improvvisamente orfani di padre e madre. I bambini, infatti, ora si trovano a Genova, vivono a casa della nonna.

Dopo che la città di Alghero – primo caso in tutta Italia – ha deciso di adottarli, istituendo l’adozione di cittadinanza. Marcello Tilloca sembra essersi dimenticato di tutto e di tutti. Nella lettera infatti parla solo di se stesso. E – senza nessuna remora – attacca magistrati e giornalisti che secondo il suo pensiero non avrebbero compreso le ragioni del suo gesto. In parole povere – almeno secondo lui – aver strangolato e ucciso la compagna di una vita e la madre dei suoi figli, avrebbe una giustificazione: “la mia vita spiega il delitto”, scrive tra le righe.

Parole agghiaccianti

Nella lettera inviata alla Nuova Sardegna si leggono parole che fanno rabbrividire. L’uomo è convinto che la stampa sia colpevole di aver creato “un’immagine completamente distorta della sua persona”, si legge tra le righe.

Sarebbe infatti tutta colpa dei giornalisti e dell’informazione “deviata” se lui oggi appare come “un uomo-animale, che non si è evoluto e che merita solo il carcere”. Nelle 33 righe scritte in stampatello, l’uomo cerca di giustificare il suo folle gesto: “Arrivare a compiere un fatto del genere – scrive – sicuramente non può essere compreso dall’opinione pubblica.

Il cui pensiero è stato viziato da una pessima informazione – conclude l’uomo – perché se si fosse setacciato con criterio all’interno della mia vita, tutto sarebbe stato più chiaro”. Come se un brutale omicidio si potesse giustificare o potesse suscitare in qualche modo comprensione. Una lettera dove il sentimento del rimorso – l’unico che sarebbe potuto affiorare – nemmeno viene sfiorato.

Anzi Marcello Tilloca sembra quasi voler giustificare lo strangolamento e l’assassinio di sua moglie Michela.

L’attacco alla stampa

“Se da una parte capisco il vostro ruolo di giornalisti – si legge nella lettera scritta da Marcello Tilloca – dall’altra non capisco perché dobbiate scrivere spesso e volentieri solo bugie. Da quali fonti le avete prese – si chiede l’uomo – perché a me non risultano”. Secondo l’assassino reo confesso le famose “fandonie” messe in piazza dalla stampa, sarebbero le cronache di quel brutale omicidio che l’uomo ha commesso e che ha anche confessato. Anche perché nella lettera Marcello Tilloca scrive che “lui si sente la vittima di uno Stato che non riconosce i miei diritti che vengono lesi”, si legge. Insomma secondo l’assassino reo confesso il fatto di aver confessato l’uccisione della moglie “è stato un gesto di auto responsabilità, se pur non condivisibile”.