È stata arrestata mercoledì 6 marzo dai servizi di sicurezza egiziani, la National Security, Malak Al-Kashif, la 19enne attivista transessuale che ha avuto il coraggio di raccontare attraverso la trasformazione del suo corpo e la sua storia. L'arresto è avvenuto perché avrebbe preso parte a una manifestazione.

La National Security si è recata a casa di Malak a Giza, l’ha arrestata e portata in carcere perché è stata riconosciuta, insieme ad altre 70 persone, tra i partecipanti alla manifestazione di protesta per l’incidente ferroviario che si è verificato a fine febbraio alla stazione “Ramses” al Cairo e che ha causato la morte di trenta persone e diversi feriti.

Il timore della famiglia

Non è stato comunicato alla famiglia e all’avvocato il luogo in cui è stata portata Malak, ma il timore che si trovi in un carcere maschile è basato sul fatto che sul suo documento di identità risulta ancora essere un uomo. Malak non è riuscita infatti a modificare i documenti con la sua reale identità di genere, nonostante siano tre anni che lotta per questo. La famiglia è terrorizzata dalla possibilità che Malak possa essere oggetto di abusi e violenze in prigione.

Non sarebbe infatti la prima volta: nel 2018 Malak ha tentato il suicidio a seguito di vessazioni negli uffici pubblici e per strada, per aver raccontato e per non aver nascosto la sua identità di genere. In un’intervista ha infatti dichiarato: "La società mi ha ucciso, mi rigetta, mi fa male, mi arresta".

La situazione egiziana

Il sistema egiziano rigetta categoricamente la comunità Lgbqti (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Queer, Transessuali, Intersessuali) e costringe i sostenitori a nascondersi. A prova di questo non ci sono solo persone come Malak che alzano la testa, ma anche gli arresti degli ultimi anni. L’omosessualità non è un reato in Egitto, ma gli arresti avvengono perché i servizi di sicurezza e i loro mandatari riescono a dimostrare che per il loro sistema giudiziario comportano immoralità e blasfemia.

Nel 2017 vennero ammanettate e condotte in carcere 75 persone perché durante il concerto di Mashrou’ Leila, che si è tenuto al Cairo, hanno sventolato le bandiere arcobaleno, simbolo delle lotte di liberazione omosessuale. In manette anche il presentatore libanese Mohamed al-Ghaity che a inizio anno ha intervistato una persona omosessuale con il chiaro intento di dimostrare che si tratta di una malattia e non della naturale identità sessuale di ogni essere vivente. Le sue ragioni non hanno però ricevuto lo sconto, perché nel 2017 è stata emanata una legge che vieta di parlarne e lui ha guadagnato un anno di pena.