Mentre iniziava l'assemblea dei popoli indigeni, Maria Betânia ha urlato: "un popolo unito non sarà mai sconfitto!". Betânia è la segretaria del Consiglio indigeno di Roraima (CIR), e rappresenta tutti gli abitanti della riserva di Raposa Serra do Sol, nello stato più settentrionale del Brasile.
La costituzione del Brasile dal 1988, proibisce l'agricoltura commerciale e l'estrazione mineraria nelle riserve indigene senza una specifica e motivata approvazione del Congresso. Ma il nuovo presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, che ha descritto le popolazioni indigene "come gli animali negli zoo", vuole cambiarlo.
Ha scelto la Riserva di Raposa per le sue riserve di oro, rame, molibdeno, bauxite e diamanti. "È la zona più ricca del mondo".
Bolsonaro ha anche dichiarato che le riserve come Raposa contengono il niobio, un metallo versatile usato per rafforzare l'acciaio che secondo il Presidente brasiliano potrebbe trasformare in meglio l'economia brasiliana. Ma il servizio geologico del governo ha dichiarato di non aver registrato nessuna ricca giacenza di niobio a Raposa.
La paura degli indigeni
Gli indigeni, da quanto è venuto fuori dall'assemblea, si sentono minacciati dalla retorica di Bolsonaro. Alcune comunità ricordano la devastazione ambientale causata dai cercatori d'oro chiamati garimpeiros, altri il dominio sul loro popolo, dei potenti coltivatori di riso.
A gennaio, una visita improvvisa e non motivata, da parte degli alleati regionali di Bolsonaro, ha sollevato il sospetto che i piani fossero già in corso. "Non stiamo combattendo il contadino, o un piccolo garimpeiro. Stiamo combattendo contro il governo", ha dichiarato Edinho de Souza, vice coordinatore del CIR della tribù Macuxi.
"Non permetteremo che questa terra sia distrutta".
La storia di Raposa è piena di conflitti. Nel 2004, dei missionari cattolici sono stati attaccata e tre padri sequestrati per due giorni. Paulo Quartiero, un coltivatore di riso che ha guidato l'opposizione verso la creazione della riserva e in seguito ha servito come politico e vice-governatore il Paese, è stato accusato di avere organizzato l'agguato, ma il caso non è ancora concluso.
I cambiamenti portati dalla vittoria elettorale di Bolsonaro sono stati il tema principale dell'assemblea annuale. I capi locali chiamati tuxaua e altri delegati non hanno provato stupore per le dichiarazioni di Bolsonaro e dei suoi alleati - che comprendono proprietari terrieri, ufficiali militari e cristiani evangelici fondamentalisti - sul progresso e sulle promesse di integrarli nella società brasiliana. Hanno ascoltato argomenti simili in passato, durante la dittatura militare del Brasile tra il 1964 e il 1985 mentre si sviluppava forzatamente sfruttando l'Amazzonia.
Le opinioni delle comunità indigene
I rappresentanti di cinque tribù e 200 comunità hanno affrontato lunghi viaggi per partecipare all'assemblea, affrontando strade sterrate e dormendo sulle amache tra gli alberi o dove meglio capitava.
Si sono accodati pazientemente per i pasti in comune e hanno discusso la loro risoluzione finale fino a tarda notte, votando frase per frase mentre il tutto veniva proiettato su un muro da un laptop. Mariana Tobias, 71 anni, sciamana Macuxi, ha affermato che gli indigeni che vivono a Raposa non hanno alcun interesse per il progresso in stile occidentale. La terra dà loro ciò di cui hanno bisogno. "La terra è nostra madre. Tu pianti, prendi da lei, la usi ma la rispetti, prendendoti cura di lei", ha detto, aggiungendo che i bianchi "non rispettano la nostra natura".
La scuola forma gli studenti indigeni all'agricoltura sostenibile, ha dichiarato il suo coordinatore Bleide de Souza, 36 anni, un Macuxi, nel sito della ex fattoria del Quartiero.
La coltivazione a livello industriale del riso aveva compresso la terra ed estirpato la macchia e gli alberi. I pesticidi hanno decimato la fauna selvatica. La cultura indigena invece si muove in una direzione di rispetto ambientale che potrebbe addirittura salvare il pianeta se adottata dai più.
I confini di Raposa con il Venezuela e la Guyana e la sua ricchezza minerale gli conferiscono un'importanza strategica non indifferente. Bolsonaro ha accusato, il "primo mondo" nel 2015, di usare l'ONU per trasformare le riserve come Raposa in nazioni indipendenti. Orlando da Silva, 73 anni, un leader Macuxi della comunità indigena di Uiramutã, ha riso di tali preoccupazioni. "Noi siamo brasiliani originali, nessuno ci ha messi o portati qui", ha dichiarato.
L'assemblea del CIR ha prodotto una lettera in cui si chiede a Bolsonaro e ai suoi ministri di rispettare i diritti fondamentali degli indigeni, come previsto nella costituzione brasiliana. La sua richiesta finale: "Non verserete più una goccia di sangue indigeno".