Lunedì all’alba una spedizione italiana è stata sorpresa da una valanga sulla catena dell’Hindu Kush, in Pakistan. A raccontarlo è stato lo stesso capo della missione, Tarcisio Bellò, durante una telefonata alla moglie Isabella, rimasta in Italia. “Sto bene, ma chiama i soccorsi” avrebbe detto l’alpinista 57enne, nascondendole la verità sul proprio stato di salute, visto che durante l’incidente avrebbe riportato diverse contusioni e si sarebbe anche rotto un piede. Gli altri tre componenti italiani della cordata sono il trevigiano David Bergamin, Luca Morellato e Celestino “Tino” Toldo, entrambi di Vicenza come Bellò, che ha già all’attivo la conquista di sei vette pakistane mai violate prima.
Insieme a loro c’erano altri tre scalatori, tutti originari dello stesso villaggio, Shimshal, al confine tra la regione del Gilgit-Baltistan e la Cina. Si tratta di due donne – Nadeema Sahar e Sakeela Numà – e di un uomo. Quest’ultimo, Imtyaz Ahmmad, sarebbe rimasto ucciso dalle ferite riportate nella caduta, quando il distaccamento nevoso lo ha travolto.
Una cima inviolata a 5.800 metri di altezza
L’incidente è stato confermato da Daniele Tonani, titolare di Focus World Service, l’agenzia milanese che ha organizzato la spedizione cominciata ai primi di giugno. Intervistato dal Corriere della Sera, ha spiegato come i superstiti siano tutti malconci, ma sani e salvi, dopo essersi rifugiati in un campo di quota.
L’obiettivo del gruppo era raggiungere una cima inviolata a 5.800 metri, scoperta due anni fa da Francesco Rota Nodari, lo scalatore morto nel marzo del 2018 precipitando dalla Concarena, in Val Camonica. Questa spedizione è dedicata a lui, ma anche a Daniele Nardi e Tom Ballard, tragicamente deceduti lo scorso febbraio sul Nanga Parbat, ed ha lo scopo di giungere sulla vetta e ribattezzarla “Lions Melvin Jones peak”, dedicandola al fondatore del Lions Club.
I sei superstiti si sono rifugiati nel Campo 2
Come ha spiegato Tonani la spedizione aveva raggiunto la vetta della montagna ed era pronta ad affrontare l’ultimo tratto, che dai 5.500 metri doveva condurre il gruppo alla vetta. Ma lunedì all’improvviso un profondo rumore ha sorpreso i sette: un pezzo di neve ghiacciata si è staccato dall’alto e ha travolto gli alpinisti, facendoli rotolare verso valle.
Quindi sono tutti riusciti a non rimanere imprigionati dalla valanga e a riprendere il cammino, tranne il povero Imtyaz Ahmmad, morto sul colpo. I sei sopravvissuti, nonostante le ferite hanno raggiunto il Campo 2, provvisto di tende e di scorte di cibo. L’unico problema ora è quello di non consumare la batteria del telefono satellitare che hanno in dotazione, utile per guidare i soccorritori. Già poche ore dopo la tragedia, gli elicotteri dell’esercito pakistano hanno cercato di raggiungere la zona, ma il maltempo li ha frenati. Inoltre è già partita una missione di salvataggio da terra, che dovrebbe raggiungere gli scalatori nelle prossime ore, se le condizioni del meteo non subiranno ulteriori peggioramenti.