Tutto è cominciato con la denuncia di una mamma di Catania. La donna, sbirciando sul telefonino del figlio adolescente, aveva fatto una brutta scoperta: una serie di immagini a luci rosse molto esplicite, tra le quali anche diverse con minori come protagonisti. In particolare le foto erano state inviate in due chat di WhatsApp a cui il ragazzo si era iscritto, chiamate 'Tana della Luna' e 'ScoobyDank'. Si tratta di gruppi che inizialmente erano nati per condividere materiale del genere 'Gore', ossia con torture, suicidi ed altre scene molto violente.
La madre del giovane, preoccupata dalla scoperta, ha consegnato lo smartphone agli agenti della Postale; questi ultimi, grazie alle loro apparecchiature, partendo dall’analisi del cellulare hanno rintracciato i contenuti diffusi nel tempo da quelle applicazioni. Tra i vari partecipanti - in totale più di 300 - sono stati identificati ed in seguito denunciati quelli che avevano inserito oppure richiesto video ed immagini a carattere pedopornografico: nell’operazione risultano indagate 51 persone, 30 dei quali minorenni.
Un fenomeno che coinvolge sempre più i giovanissimi
L’indagine, coordinata dalla procura della Repubblica di Catania, in collaborazione con la locale procura dei minori, ha coinvolto ben 30 province italiane.
La polizia postale della cittadina etnea ha lavorato sotto la direzione del centro nazionale di contrasto di pedopornografia online (Cncpo). Una peculiarità della vicenda è il coinvolgimento di numerosi adolescenti, che trovano in rete materiale a luci rosse con minori, per poi scambiarselo tra loro. L’enorme quantità dell’offerta, reperibile sul web con estrema facilità, ha spinto infatti numerosi ragazzi alla ricerca di contenuti sempre più estremi ed eccessivi, fino ad arrivare alle scene con dei minorenni come protagonisti.
Un fenomeno delittuoso che è in crescita, nonostante la detenzione e divulgazione di simili filmati o foto sia considerata un reato grave.
L’operazione ‘Tana della Luna’
Nel corso dell’operazione 'Tana della Luna', che prende il nome proprio da una delle due chat di WhatsApp utilizzate per cambiarsi le immagini, sono state effettuate perquisizioni in tutta Italia: la polizia postale ha sequestrato un’ingente quantità di materiale informatico, che nei prossimi giorni sarà sottoposto ad analisi approfondite.
Grazie alla coraggiosa denuncia della madre, che non si è tirata indietro pur sapendo che avrebbe coinvolto nell’inchiesta anche il figlio, è dunque venuta alla luce una vasta rete che copriva numerose regioni in tutta Italia: così gli agenti sono dovuti intervenire in diverse città da Nord a Sud, per acquisire nuovi elementi utili per le indagini.