Nel nord della Siria si è accesa un'altra polveriera, dopo la guerra che dilania il Paese dal 2011 e lo ha trasformato in un sanguinoso scacchiere dove si sono fronteggiati gli interessi di Russia, USA, Iran e Turchia e dove si è combattuta la più aspra battaglia sul campo contro l'integralismo islamista. A scatenarla è Recep Erdogan, il personaggio più ambiguo della questione siriana, l'uomo che ha supportato la rivolta anti-Assad, che ha 'flirtato' in contemporanea con Stati Uniti e Russia e che, insieme a Mosca ed all'Iran, si è seduto al tavolo di Astana dove si sono giocati i destini della Siria post-bellica.

Il suo colpo di martello si è scagliato contro i curdi del Rojava che hanno costituito uno stato non indipendente, ma certamente autonomo dall'autorità di Damasco entro i confini siriani. L'operazione si chiama 'Fonte di pace' e fa il verso ad una precedente e molto simile azione militare, 'Ramoscello d'ulivo' scatenata nel gennaio 2018 conto il cantone a maggioranza curda di Afrin e nell'area di Tel Rifaat del governatorato di Aleppo, per l'appunto nella Siria settentrionale. I primi raid hanno colpito le postazioni di quelle milizie curde che in Siria sono state fedeli alleate statunitensi nella lotta all'Isis. Alla luce degli interessi russi e statunitensi nell'area, il modo oggi teme una pericolosa escalation anche se l'impressione è che Washington abbia deciso di lasciare i curdi al loro destino.

Curdi che, probabilmente, svolgeranno ancora una volta il ruolo di 'vittima predestinata' senza alcun coinvolgimento di altre forze armate. Questo il parere di Fulvio Scaglione, giornalista e scrittore, esperto di questioni mediorientali, che viene esposta in un editoriale comparso sull'edizione online di 'Famiglia Cristiana'.

'Assad non vuole e non può entrare in guerra contro la Turchia'

A prima vista, situazione abbastanza evidente e condivisa anche da Scaglione nel suo editoriale, "Siria e Russia sono le nazioni più danneggiate dalla mossa turca". Erdogan a tutti gli effetti sta violando la sovranità siriana ed un'invasione potrebbe sottrarre a Damasco una fascia di territorio lunga 480 km e profonda 30, in pratica la linea di confine tra i due Paesi.

Scaglione evidenzia come "Damasco ha denunciato le intenzioni ostili del regime turco", sottolineando "la violazione sia delle leggi internazionali che delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in merito alla sovranità e l'integrità territoriale siriana". Ma secondo il suo punto di vista la minaccia di "affrontare l'aggressione con tutti gli strumenti legittimi" è di facciata, anche perché nel contempo il ministero degli Esteri siriano denuncia "la complicità di alcuni gruppi curdi con gli USA" e si dichiara "disponibile ad accogliere i cittadini siriani che si sono fatti ingannare dal recente passato". In soldoni la spiegazione del noto giornalista è che "Bashar al-Assad non vuole e non può entrare in guerra con la Turchia e, inoltre, Erdogan andrà a colpire anche quelle milizie curde che in questi anni hanno combattuto contro Assad".

Il riferimento all'accoglienza è indirizzato verso gli esuli siriani che si sono rifugiati in Turchia perché avversi politicamente ad Assad con l'invito a rientrare in patria dove il presidente siriano è pronto a perdonarli e riceverli. Ha un senso, secondo Scaglione, perché darebbe un ulteriore impulso alla ricostruzione del Paese. "Quello di Assad è buon viso a cattivo gioco, non potendo fronteggiare apertamente la Turchia starebbe intravedendo qualche possibile vantaggio".

'Lavrov attacca gli USA e non la Turchia'

Ben più importante la posizione del Cremlino, certamente un attore di primo piano di tutta la questione siriana. Ma sempre secondo il parere di Fulvio Scaglione "la Russia conserva l'intesa con Erdogan ed evita di impantanarsi in una battaglia diretta simila a quella che si stava sviluppando ad Idlib".

Nel suo editoriale, il giornalista fa riferimento ad "un patto tacito o addirittura segreto tra Vladimir Putin, Assad ed Erdogan" e come prova della sua tesi espone le parole di Sergey Lavrov, capo della diplomazia russa che non ha attaccato Ankara per la sua scelta bellica, ma Donald Trump e gli USA, responsabili di "azioni nel nord della Siria che violano le risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU". Secondo il ministro degli Esteri di Mosca, "gli americano hanno stabilito nella regione strutture che possiamo definire governative ed alimentanto la questione curda hanno provocato il dissenso tra le popolazioni arabe del territorio".

Erdogan: la mossa del cavallo

Inutile sottolineare che Erdogan potrebbe chiudere una volta e per tutte i conti con gli odiati curdi al confine, dando anche una dimostrazione di potenza dall'incredibile grancassa propagandistica in tutta la Turchia, alla luce di consensi che, forse, si sono un po' indeboliti negli ultimi anni.

In fin dei conti la Turchia è stata tra i maggiori nemici della Siria di Assad, ma alla luce dell'impossibilità di rovesciare il governo di Damasco grazie anche all'intervento diretto della Russia in guerra, si è fatta andar bene la conferma di Bashar al-Assad al timone del Paese così come le trattative di Astana al cui tavolo c'era anche l'Iran, maggiore portavoce dei 'nemici' sciiti. Non è da escludere che per 'bere l'amaro calice', Erdogan abbia avuto in cambio la promessa di avere 'mano libera' contro i curdi. Queste, per quanto logiche, restano ovviamente supposizioni. L'unica verità, come evidenziato da Scaglione all'inizio del suo editoriale, è che "il risiko mediorientale ha restituito i curdi al ruolo della vittima designata, quello che rivestono da giusto un secolo, da quando le potenze occidentali, con il Trattato di Sévres del 1920, promisero loro quello Stato che non hanno mai avuto".