Video razzisti inneggianti all'Isis, al nazismo e al fascismo, ma anche filmati a luci rosse. È questo il contenuto sconcertante e agghiacciante emerso da una chat chiamata "The Shoah Party". Il gruppo Whatsapp era gestito da alcuni ragazzini residenti nei pressi di Torino.
L'indagine, partita da Siena in seguito alla denuncia di una madre, vede indagati 25 giovanissimi con un'età compresa fra i 13 e i 19 anni.
The Shoah Party: 25 giovani indagati
"The Shoah Party" è stata creata da due quindicenni italiani di Rivoli, comune alle porte di Torino.
Un gruppo WhatsApp, si sa, non conosce confini, e i due amici per mesi e mesi hanno diffuso, come sottolineato dagli inquirenti, immagini crude e "scene di una brutalità inenarrabile". I contenuti - talmente forti da non poter esser descritti - sono arrivati sugli smartphone di giovani di tutta Italia.
I carabinieri, muovendosi in questi "abissi di degrado", hanno portato avanti un lungo lavoro d'indagine che è culminato con perquisizioni effettuate nei giorni scorsi in 13 province (Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, Campania, Lazio e Calabria le regioni interessate). I militari hanno provveduto a sequestrare telefonini, chiavette Usb e Pc che nei prossimi giorni verranno affidati ad un consulente tecnico d'ufficio che provvederà a realizzare delle copie forensi, ossia delle riproduzioni attendibili dei contenuti delle chat, indispensabili in sede processuale per la promozione delle accuse.
Ad oggi sono 25 gli indagati: 9 maggiorenni (con un'età compresa tra i 18 e 19 anni) e 16 minorenni. Tantissimi anche i tredicenni e quattordicenni coinvolti (non imputabili per legge). I giovani dovranno rispondere di accuse pesantissime: detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico, ma anche istigazione all'apologia di reato avente come scopo la discriminazione per motivi razziali e l'incitazione alla violenza.
La denuncia coraggiosa di una mamma
A far scoprire la chat "The Shoah Party" è stata una mamma coraggiosa. La donna, residente a Siena, ha scoperto a gennaio che il figlio di soli 13 anni condivideva immagini cruente in un gruppo WhatsApp. Invece di limitarsi ad una ramanzina, si è recata dai carabinieri per sporgere denuncia.
E così sono partite le indagini guidate dal colonnello Stefano Di Pace. Gli uomini dell'Arma hanno chiesto alla Procura dei minori di Firenze il permesso di effettuare intercettazioni telematiche, e sotto il coordinamento del procuratore Antonio Sangermano e della Procura distrettuale di Firenze si sono messi al lavoro. Dopo aver creato un falso profilo, si sono finti un adolescente su WhatsApp e su Instagram, e per diversi mesi sono riusciti a monitorare i contenuti che i ragazzini si scambiavano. I carabinieri, ancora scioccati, non avrebbero mai potuto immaginare che dei ragazzi potessero avere una tale predilezione per l'orrore.
Secondo gli investigatori, da giugno ad oggi sarebbero entrati nella chat circa 300 giovani. Molti di loro, però, dopo aver visionato i primi messaggi hanno deciso di abbandonare il gruppo.