Il conducente di un automezzo deve usare una particolare prudenza quando attraversa un centro cittadino o una strada munita di attraversamenti pedonali. Infatti, in caso di incidente stradale l'automobilista potrebbe essere ritenuto colpevole anche se il pedone ha attraversato la carreggiata stradale senza far uso delle strisce pedonali. Queste, in sintesi, le conclusioni a cui è pervenuta la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione e che sono state cristallizzate nella Sentenza n° 51147/2019 depositata in Cancelleria lo scorso 19 dicembre 2019.

I fatti che hanno portato al giudizio in Cassazione

Il Supremo Collegio si è trovato a giudicare sul ricorso presentato da un'automobilista che, in primo grado, era stata condannata dal Tribunale di Tivoli per il reato di omicidio colposo in base al disposto dell'articolo 589, secondo comma, del Codice Penale. Il tribunale di primo grado aveva condannato l'imputato a 2 anni di reclusione, pena successivamente confermata dalla Corte d'Appello di Roma. L'imputato, come sostenuto dal tribunale di primo grado e dalla Corte d'Appello, aveva causato la morte di un pedone. Secondo i giudici di merito, la conducente del veicolo, infatti, non aveva prestato la dovuta attenzione durante la guida e non aveva neanche provveduto a moderare la velocità nei pressi dell'incrocio nel quale, poi, si è verificato il cruento incidente.

Anche perché a quell'incrocio era presente un attraversamento pedonale. Attraversamento pedonale che, secondo la ricostruzione operata dalla Corte d'Appello, sarebbe stato impegnato direttamente o nelle immediate vicinanze dalla vittima dell'incidente. Tale ricostruzione, sostenuta anche da una consulenza richiesta dal Tribunale di Tivoli ad un CTU, sarebbe stata contestata dalla difesa che avrebbe proposto ricorso per Cassazione.

La decisione della Suprema Corte di Cassazione

Il Supremo Collegio ha ritenuto di dover rigettare il ricorso portato alla sua attenzione ritenendo infondati i motivi addotti dalla difesa. Infatti, il ricorrente contestava il vizio di motivazione della sentenza del tribunale di primo grado. Questa era stata emanata facendo ricorso, come spiegato dal Supremo Collegio, al cosiddetto rito abbreviato.

E, quindi, allo stato degli atti.

La Corte di Cassazione si premura di chiarire che la celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato, se non impedisce al giudice d'appello di esercitare i poteri di integrazione probatoria, comporta tuttavia l'esclusione di un diritto dell'imputato a richiedere la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. Non solo ma il giudice è obbligato a motivare il diniego di tale richiesta. Inoltre per quanto riguarda l'eventuale assunzione nel processo di nuove prove, tale prerogativa nel rito abbreviato è nell'esclusiva disponibilità del giudice di merito, continua la Cassazione. Quest'ultimo è il solo che possa decidere se la loro acquisizione sia assolutamente necessaria.

E questo perché il giudice ritiene che tale prova sia potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti, in base al disposto dell'articolo 603 del Codice di Procedura Penale. Per poter sostenere tale tesi in sede di sindacato di legittimità sarebbe necessario, continua la Cassazione, dimostrare la manifesta illogicità e contraddizione della sentenza di primo grado. Cosa che, nel caso di specie, non può dirsi essere avvenuta da parte della difesa della ricorrente.

Il Supremo Collegio ricorda anche come la ricostruzione della dinamica di un incidente stradale sia, per pacifico assunto, sempre rimessa al giudice di merito. E questo in quanto vengono ad essere integrati una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità proprio della Corte di Cassazione.

Soprattutto se questi ultimi sono sostenuti da un'adeguata motivazione fornita in base al personale libero convincimento del giudice.

Venendo al caso specifico, la Corte di Cassazione concorda con la ricostruzione operata dalla Corte d'Appello di Roma in base alla quale la conducente del veicolo investitore guidava in maniera distratta. A nulla valendo il fatto che poco prima del tragico impatto la donna avesse tentato una disperata frenata. Anche perché la velocità del suo veicolo, secondo i riscontri effettuati, era prossima al limite massimo consentito. Inoltre sulla sede stradale erano presenti le strisce pedonali che avrebbero dovuto far capire all'imputata la necessità non solo di moderare la velocità ma di prestare particolare premura all'obbligo di attenzione nei confronti dei pedoni.

Secondo la Cassazione, infatti, ogni conducente di un automezzo deve porre in essere tutti quegli accorgimenti di normale esperienza onde evitare il rischio di un investimento. E questo anche in presenza di comportamenti irregolari da parte di un pedone. In pratica, richiamando un suo consolidato orientamento, la Corte di Cassazione ricorda come il principio di affidamento, in tema di circolazione stradale, trova un temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità. Anche perché, secondo la Cassazione, la possibilità che un pedone attraversi improvvisamente la sede stradale costituisce un rischio tipico e quindi, prevedibile, della circolazione stradale. Per tali motivi la Cassazione ha confermato la sentenza d'appello e rigettato il ricorso.