La dura risposta promessa dall'Iran per l'uccisione di Soleimani non si è fatta attendere. Con una pioggia di missili balistici lanciati su due basi USA in Iraq, nel cuore della notte, le forze iraniane hanno dato il via all’operazione “Soleimani Martire”. La tv iraniana ha riferito che Teheran ha lanciato 15 missili contro obiettivi statunitensi, in un'azione di rappresaglia per l’assassinio del generale Qassem Soleimani ucciso la settimana scorsa da un attacco di droni statunitensi.

L’agenzia di stampa iraniana Tasnim ha riferito che l’attacco di missili balistici lanciati dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica dell'Iran (IRCG) su basi USA avrebbe causato la morte di almeno “80 forze terroristiche americane", alle quali si aggiungono anche danni ad un certo numero di elicotteri e droni USA.

L’attacco rivolto verso due basi americane in Iraq ha colpito la base aerea di Ain al-Assad nella provincia di Al-Anbar nell'Iraq occidentale e la base di Erbil. Nessun missile è stato intercettato dal sistema radar dell’esercito americano.

Ali Khamenei, guida suprema dell’Iran, ha parlato di uno “schiaffo in faccia” agli Stati Uniti ed ha consigliato alle truppe americane di lasciare al più presto la regione. Il generale maggiore iraniano Mohammad Hossein Baqeri ha parlato dell’attacco missilistico di questa notte come un monito alle autorità del "regime terroristico USA". Una fonte anonima parlando con Tasnim ha sostenuto inoltre che almeno 104 obiettivi americani e dei loro alleati sono stati identificati nella regione e che, ad un'eventuale risposta degli USA in seguito all’attacco missilistico, tali obiettivi saranno presi di mira.

Le prime reazioni degli Stati Uniti

Intanto da Oltreoceano il presidente Trump ha twittato "All is well" (Va tutto bene), dichiarando che è in corso una stima dei danni a cui seguirà una dichiarazione nella mattinata di oggi. Jonathan Hoffman, portavoce del Pentagono, ha dichiarato che saranno adottate tutte le misure necessarie per difendere il personale e gli alleati degli Stati Uniti nella regione.

Il 'fronte' europeo

Al momento più di 5000 truppe americane sono presenti in Iraq insieme ad altre forze della coalizione a guida USA. Polonia, Danimarca, Germania e Norvegia hanno dichiarato che nessuna delle loro truppe in Iraq è stata colpita dall’attacco missilistico, mentre la Gran Bretagna ha subito condannato l’attacco iraniano.

Lo Stato Maggiore della Difesa in Italia ha fatto sapere che tra le fila italiane non ci sono state vittime o feriti, così come nessun danno è stato causato a mezzi e infrastrutture. Nella base colpita ad Erbil dall’attacco missilistico iraniano si contano circa 400 militari italiani. I contingenti italiani, che nella giornata di ieri avevano lasciato la base americana a Bagdad, rimangono comunque nella regione. Nessuna ipotesi di ritiro infatti è al momento ipotizzata, così come dichiarato dal Ministero della Difesa.

L’esercito iracheno, che al contrario da quanto riferito dal comando di Teheran, ha parlato di 22 missili lanciati sulle basi a guida statunitense, sostiene di non aver subito vittime.

Due dei 17 missili che hanno colpito la base di Ain al-Asad non sarebbero esplosi, mentre i 5 caduti su Erbil hanno preso di mira il quartier generale della coalizione.

Nuove minacce dall'Iran agli USA e ai suoi alleati

Il corpo delle Guardie Rivoluzionarie ha ribadito che un eventuale attacco in territorio iraniano porterà conseguenze ben più gravi, con Dubai, Haifa e Tel Aviv nel target di un nuovo round di attacchi da parte di Teheran. Le affermazioni riportate dalla tv iraniana seguono quelle dell’ex capo delle Guardie della rivoluzione Mohsen Rezai. Rezai infatti qualche giorno fa, a seguito di un tweet del presidente Trump che garantiva una risposta “sproporzionata” in caso di un attacco di Teheran a siti americani, aveva dichiarato che ad un eventuale rappresaglia USA in Iran, Teheran "cancellerà Israele dalle carte geografiche", ritenendo Israele responsabile insieme agli Stati Uniti dell’uccisione del generale Soleimani.

L’uccisione del generale Soleimani, la decisione del Pentagono dell'invio di ulteriori 3500 soldati al Centro di comando in Medio Oriente e l’attacco missilistico di Teheran a basi USA, sembrano inoltre aver minato quel processo di riappropriazione popolare che aveva visto protagonisti i civili iracheni con le proteste di piazza scoppiate nello scorso ottobre. Nella giornata di venerdì le commemorazioni funebri formali avevano portato migliaia di iracheni a scendere in piazza a Bagdad, consapevoli forse di essere diventati teatro di una nuova possibile guerra.