Analisi delle acque scure negli impianti di trattamento per cercare tracce del coronavirus, quindi identificare la presenza di Sars-Cov-2 nella popolazione, e poter agire tempestivamente in vista di nuovi focolai epidemici. E' il progetto a cui stanno lavorando molti scienziati per arginare un possibile 'ritorno' del nemico invisibile, ma anche per monitorare il territorio in assenza di poter fare tamponi a tappeto. Il metodo permetterebbe di identificare immediatamente l'area colpita e poter procedere di conseguenza. Le zone rosse, anche se di asintomatici, sarebbero scovate in fretta, il che darebbe una grossa mano alla battaglia contro il virus.

A darne notizia, giorni fa, è stata l'autorevole rivista scientifica Nature.

Il Coronavirus ha cambiato il corso della storia umana in tempi record: ha confinato a casa metà della popolazione mondiale, oltre 4 miliardi di persone ripartite in 100 paesi, e coinvolto in un unico incubo tutto il globo, ad eccezione di Artico e Antartide, i soli luoghi risparmiati. In alcuni Paesi, tra cui l'Italia, si sta pensando alla fase due, ovvero il momento in cui, giunti al contagio zero, si potrà interrompere il 'lockdown', la chiusura forzata di tutte le attività, e la vita socioeconomica e produttiva potrà riprendere, sia pure con accorgimenti. Gli scienziati temono che una volta superato il picco e rimosse le misure di distanziamento sociale, il virus possa tornare.

Per questo, studiano un sistema per allertare grazie ai liquami la sanità, e individuare la presenza di contagio in brevissimo tempo.

Coronavirus, cosa è accaduto nei Paesi Bassi

Ci sono scienziati di varia nazionalità, cinesi, statunitensi, italiani, al lavoro per realizzare il vaccino e sconfiggere il Sars-Cov-2. Altri, stanno cercando di giocare d'anticipo e studiare le azioni da intraprendere in vista di un possibile secondo attacco del virus.

Potrebbe verificarsi una nuova ondata di contagio, quando, con il ritorno alla normalità, verranno meno le misure di controllo dell'infezione. Sono più di 12 i gruppi di ricerca al lavoro nel mondo per realizzare una rapida azione preventiva attraverso l'analisi delle acque fognarie.

Tutto è cominciato a inizio marzo ad Amsterdam, in Olanda, quando è stata accertata la presenza del Covid-19 negli scarichi urbani.

Per la precisione, tracce genetiche del coronavirus sono state trovate nelle acque di scarico di Schiphol, scalo aeroportuale di Amsterdam, tra i più affollati d'Europa. Quattro giorni prima, l'Olanda aveva accertato il primo caso di contagio sul suolo nazionale. Da allora, l'Istituto Superiore di Sanità dei Paesi Bassi si è attivato: la ricercatrice Ana Maria de Roda Husman con i suoi colleghi ha messo appunto un progetto per analizzare le acque reflue di 12 capoluoghi di provincia del Paese. Nel frattempo, nel sistema fognario di un'altra città olandese, Amersfoort, sono state trovate tracce del Rna del virus prima che fossero rilevati i primi casi positivi tra la popolazione. Gli scienziati stanno cercando di scoprire in fretta le caratteristiche del nuovo coronavirus, fino a quattro mesi fa del tutto sconosciuto all'umanità.

Dopo il caso olandese, hanno accertato che la presenza di tracce genetiche del coronavirus si evidenzia nelle feci di persone infette molto prima che si manifestino i sintomi: entro tre giorni dal contagio, contro i 15 giorni del cosiddetto periodo di incubazione. Questo elemento potrebbe dare alle autorità di salute pubblica un vantaggio temporale per prendere tempestivamente decisioni quali l'avvio del lockdown. "Sette o anche dieci giorni di anticipo possono fare la differenza, vista la severità di questo fenomeno", sostiene Tamar Kohn, virologo ambientale all’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia con sede a Losanna.

Coronavirus, stesso approccio in altri Paesi

Scienziati di altri Paesi, quali Svezia e Stati Uniti, stanno seguendo lo stesso approccio.

Con questo sistema, potrebbe essere aggirato il problema dei tamponi che non sono fatti su tutta la cittadinanza. Secondo quanto riferito dalla rivista Nature, un singolo impianto di depurazione che raccoglie le acque reflue da trattare prima di essere disperse, può gestire gli scarichi di un milione di persone.

Analizzando con metodo e costanza queste acque, secondo gli scienziati potrebbe essere scoperta in anticipo popolazione infetta non sottoposta ai test e che sfugge alle statistiche. Ma i problemi non mancano: con le misure restrittive in atto per limitare il contagio, non sempre i ricercatori hanno la possibilità di raggiungere gli impianti di trattamento delle acque reflue per prelevare campioni da analizzare.

Inoltre, va perfezionato il metodo: non basta individuare la presenza del coronavirus negli impianti fognari. Va capito quanto materiale genetico finisca negli scarti fisiologici delle persone contagiate, e il campione prelevato deve essere 'rappresentativo'. Una volta rispettati questi criteri, potrà essere fatta una stima della popolazione potenzialmente infetta. I test, insomma, dovranno essere perfezionati per dare informazioni valide agli epidemiologi su modi e tempi nella diffusione del contagio.

Acque reflue, aiuto per la salute pubblica in più casi

Non è la prima volta che l'analisi delle acque reflue permetta di risolvere questioni di salute pubblica. E' accaduto per verificare l'efficacia delle vaccinazioni contro la poliomielite in Israele nel 2013, o per studiare l'abuso di antibiotici o di stupefacenti tra la popolazione.

Ora gli scienziati scommettono sulle fogne per sconfiggere l'invisibile nemico dell'umanità. E assicurano che non c'è nessun rischio invece per la popolazione, dato che il virus non si trasmette nell'acqua potabile.