É di ieri la notizia relativa al commissariamento di Uber Italy con l'accusa di caporalato nei confronti dei fattorini sfruttati durante le attività di consegna del cibo. L'indagine, sulla quale la magistratura lavora da oltre sei mesi, è ancora in corso e coinvolgerebbe più di un migliaio di rider. Ad aprire il fascicolo d'inchiesta sono stati il pm Paolo Storari e il procuratore aggiunto Alessandra Dolci, capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano. La misura del commissariamento è in fase d'esecuzione da parte del Nucleo di polizia economico finanziaria.

Il Tribunale: 'Possibili violazioni della normativa sulla sicurezza sul lavoro'

Gli elementi raccolti durante le indagini porterebbero all'accusa di sfruttamento dei rider che consegnano a domicilio con Uber Eats, l'app dell'apposito servizio. Nell'inchiesta, che ha portato anche ad una serie di perquisizioni, viene contestato il reato previsto dall'articolo 603bis del Codice penale, ossia "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro". Tuttavia la filiale italiana della compagnia americana, oltre a essere stata accusata di "caporalato", potrebbe aver violato anche alcune norme in merito alla sicurezza sul lavoro, mostrando una particolare insufficienza nel monitoraggio degli incidenti dei rider durante lo svolgimento delle loro attività.

Come vengono aggirate le regole

Come riportato dal Corriere della Sera, sono tanti i rider che agirebbero raggirando le regole. I controlli limitati sulla reale identità della persona hanno, finora, consentito ai fattorini di poter vendere il proprio profilo a persone di origine africana in cerca di una possibilità di lavoro.

Questi ultimi, una volta acquistato il profilo (e l'attrezzatura) a un certo prezzo, avrebbero esercitato la professione, accordandosi sulla percentuale da destinare al reale detentore del profilo. Secondo i magistrati di Milano, Uber Italy, pur consapevole del verificarsi di eventi del genere, non ha mai denunciato alle autorità tali situazioni scegliendo, piuttosto, la sospensione dell'account.

Tuttavia il modus operandi della società americana è stato riconosciuto a tutti gli effetti come una forma di sfruttamento.

I rider: 'Noi pagati solo tre euro a consegna'

Ad accusare l'operatore, specializzato nell'attività di delivery, sono anche gli stessi rider. "La paga corrispondeva sempre a tre euro per ogni consegna effettuata, indipendentemente dal giorno e dall'ora" è infatti quanto affermato da un ragazzo che, in passato, ha svolto l'attività di rider per Uber Italy. Difatti, oltre alla presunta compravendita di profili, la stessa società avrebbe procacciato, tramite compagnie di intermediazione, richiedenti asilo che risiedevano presso centri di accoglienza.