C'è stata un'importante operazione, partita dalle prime ore della giornata del 28 maggio, che ha permesso di sgominare un cartello di 57 imprenditori che, partecipando a vari appalti della pubblica amministrazione, di fatto avrebbe favorito il potente clan 'ndranghetista di Gioia Tauro Piromalli. Questo sistema di spartizione è durato per ben dieci anni e ha interessato non solo la Calabria, ma ha avuto delle ramificazioni in tutto il territorio nazionale. L'indagine, denominata "Waterfront", è stata coordinata dalla Dda di Reggio Calabria e che ha visto l'impiego di circa 500 finanzieri, si è conclusa con l'arresto degli imprenditori e con i sigilli apposti a numerosi beni per un valore di oltre cento milioni di euro.
Le ordinanze hanno riguardato soggetti residenti nelle provincia di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Vibo Valentia, Messina, Palermo, Trapani, Agrigento, Benevento, Avellino, Milano, Alessandria, Brescia, Gorizia, Pisa, Bologna e Roma.
I Piromalli registi occulti degli appalti pilotati
Un sistema che ha avuto la supervisione "occulta" della famiglia della 'ndrangheta che da decenni controlla ogni cosa nella piana di Gioa Tauro, con numerosi vantaggi ricevuti. Tra i fermati dalle Fiamme Gialle risultano anche 11 funzionari comunali che, a vario titolo, riuscivano a volgere i bandi pubblici a favore degli industriali, aggiustando le gare d'appalto favorendo le ditte ad essi collegate, dove ognuno dei coinvolti ha partecipato alla spartizione dei proventi.
Uno dei nomi eccellenti risulterebbe essere quello di un deputato calabrese della Lega, Domenico Furgiuele, ex amministratore della società Terina costruzioni, nonché titolare di quote della medesima società, incarichi che ha abbandonato nel momento in cui è stato eletto parlamentare del partito di Salvini. Il suo nome è venuto fuori nell'indagine che ha riguardato il filone dell'appalto dell'eliporto dell'ospedale calabrese di Polistena e del ripristino delle strade del paese di Bandina.
Le conclusioni del lavoro dei magistrati della Dda calabrese
I procuratori che hanno portato avanti queste investigazioni, il procuratore generale Giovanni Bombardieri, coadiuvato dai pm Gaetano Paci e Gianluca Celso, hanno messo in evidenza il metodo usato dai mafiosi per arrivare ai soldi pubblici che hanno incamerato nei loro forzieri illegali.
Di volta in volta è stato deciso dai capimafia come doveva svolgersi l'appalto da truccare, arrivando sempre allo stesso risultato. Per ogni lavoro messo a gara, le imprese appartenenti al cartello, riunite come Ati o Rti, hanno presentato delle offerte in busta chiusa, ma preventivamente concordate.
In qualche caso le offerte venivano iscritte in bianco e compilate in seguito. Quando si è arrivati alla aggiudicazione della gara da parte delle imprese collegate ai Piromalli o ai Bagalà, i lavori sono stati eseguiti direttamente da queste ditte, o in alcune circostanze da persone di fiducia a loro collegate. Come hanno scritto i magistrati nella loro relazione, che ha poi portato alla richiesta dei mandati di arresto, è emersa l'esistenza di un sistema criminale "composto da imprenditori e pubblici ufficiali ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d'asta aggravata dall'agevolazione mafiosa".