Nessuna conversione forzata, ma una libera scelta di Silvia Romano. La conferma arriva dal gruppo armato che l'ha tenuta in ostaggio, il cui portavoce Ali Dehere ha concesso un'intervista telefonica a Repubblica. Secondo il punto di vista di al-Shabaab, la volontaria italiana "ha scelto l'Islam nel momento in cui ha capito il valore della nostra religione, ha letto il Corano e ha pregato".

'Siamo in guerra, ogni ostaggio è un bene prezioso'

Il portavoce del gruppo jihadista esprime dunque il suo parere sulla conversione della giovane lombarda. "Silvia Romano (da notare che non usa mai il nome 'Aisha', quello che la volontaria ha assunto da convertita) ha sicuramente visto con i suoi occhi un mondo migliore di quello che conosceva", evidenziando inoltre che non le sarebbe stato fatto alcun male.

"Non è vero che è stata sempre segregata e da parte nostra non c'era alcun motivo di maltrattarla visto che per noi rappresentava una preziosa merce di scambio". Non le sarebbe stato torto un capello secondo il racconto di Ali Dehere "anche perché è una donna, noi di al-Shabaab portiamo grande rispetto nei confronti delle donne". Tra le conferme dell'esponente di quella che dal 2012 è, a tutti gli effetti, una cellula di al-Qaeda, c'è anche la difficile indentificazione del luogo dove la ragazza era trattenuta perché è stato cambiato di frequente. "Stiamo combattendo una guerra con i droni USA e l'artiglieria keniana che bombardano anche i nostri villaggi causando numerose vittime civili, ogni ostaggio diventa un bene prezioso".

I proventi dei riscatti, infatti vengono solitamente utilizzati per finanziare le azioni armate ma anche i nuclei civili di al-Shabaab, quali scuole e strutture sanitarie. "In presenza di un rischio, se la zona dove Silvia era nascosta diventava un bersaglio per i nostri nemici, noi andavamo in un altro posto".

'Passiamo per le armi solo i prigionieri di guerra, ma lo fa anche l'esercito somalo'

Lunghi mesi di silenzio con il timore che Silvia Romano non fosse più in vita. "Ripeto che era un ostaggio - dice ancora una volta Ali Dehere - e non un prigioniero di guerra. Quelli li passiamo subito per le armi, ma lo fa anche l'esercito somalo quando cattura un nostro soldato.

Abbiamo fatto tutto il possibile affinché non soffrisse", dice riferendosi alla Romano. Poi parla a ruota libera della guerra che al-Shabaab sta combattendo. "I soldati di Mogadiscio catturano e uccidono i nostri, ma prima di farlo li sottopongono a torture per farli parlare. I soldati di al-Shabaab sono addestrati a soffrire, in tanti muoiono per le torture ma non rivelano nulla". Con una punta d'orgoglio aggiunge che i suoi non hanno bisogno di ricorrere alle torture per estorcere informazioni: "Quelle le abbiamo lo stesso, abbiamo inflitrato ovunque i nostri uomini a Mogadiscio, anche in istituzioni politiche e militari".