Trent’anni senza una verità. Il 7 agosto 1990 la 21enne Simonetta Cesaroni fu ritrovata priva di vita nell’ufficio dell’Associazione alberghi della gioventù, situato nello stabile di via Poma a Roma, dove lavorava. Qualcuno le aveva sferrato 29 coltellate: il responsabile di questo efferato delitto non è mai stato rintracciato, nonostante i tanti indiziati e un lungo procedimento penale a carico dell’ex fidanzato della ragazza, Raniero Busco, condannato a 24 anni in primo grado e poi assolto in appello e in Cassazione nel 2014.

Così a trent’anni da questo celebre caso di Cronaca Nera l’avvocato della famiglia di Simonetta, Federica Mondani, chiede giustizia, auspicando che le indagini possano riprendere al più presto e si riesca a dare finalmente un nome all’assassino.

L’invito dell’avvocato dei Cesaroni a riaprire le indagini

Per l’avvocato Mondani l’inchiesta sull’omicidio di Simonetta Cesaroni rappresenta una sconfitta per l’intero sistema giudiziario del nostro Paese, per lo Stato. “Le indagini possono ripartire in ogni momento – chiarisce la legale – tuttavia a questo punto servirebbe un preciso segnale da parte della Procura di Roma, che però non è ancora arrivato”. All’epoca gli inquirenti non disponevano degli strumenti scientifici attuali e molte tracce biologiche furono trascurate, come ha recentemente spiegato anche Luciano Garofano, già comandante dei Ris. Infine l'avvocato dei Cesaroni ricorda il dolore vissuto dai familiari della giovane, una ferita difficile da rimarginare anche alla luce dei tanti dubbi sulla vicenda, che nessuno è riuscito mai a sgomberare.

I familiari di Simonetta Cesaroni chiedono nuove perizie

Secondo l’avvocato Mondani sarebbero bastati alcuni approfondimenti in più, possibili con le nuove tecniche – come quelle più avanzate per l’esame del Dna – ma nulla è stato fatto a riguardo negli ultimi anni. Per esempio non ci sono state ulteriori indagini relative al morso sul corpo di Simonetta, per il quale i familiari chiedono da tempo una nuova perizia.

Il Fatto Quotidiano ha interpellato a riguardo anche Paolo Loria, il difensore dell’ex fidanzato della Cesaroni: “Raniero Busco vuole solo essere dimenticato – spiega il legale – è stata una lunga storia di errori, depistaggi e omissioni, che ha contato ben sette fallimenti”.

Trent’anni di indagini sul delitto Cesaroni

In effetti sono stati commessi numerosi errori nel corso di tutti questi anni.

Pochi giorni dopo il delitto, il 10 agosto 1990 la polizia arresta Pietrino Vanacore, uno dei portieri del palazzo in cui è avvenuto il delitto: sui suoi pantaloni ci sono alcune macchie di sangue, che però, come si scopre successivamente, non appartengono alla Cesaroni.

In seguito sono indagati anche Salvatore Volponi, il principale della ragazza e altre cinque persone, appartenenti alla cerchia di amici e conoscenti di Simonetta, ma tutti vengono scagionati. Nel 1992 Federico Valle riceve un avviso di garanzia: tuttavia un anno dopo il giovane, che abita nel palazzo di via Poma, è prosciolto da tutte le accuse. Per circa un decennio non ci sono novità, fino al settembre 2006, quando gli indumenti della Cesaroni sono nuovamente analizzati.

Dagli esami emergono tracce di saliva dell’ex fidanzato della giovane, Raniero Busco. L’uomo finisce sotto processo: il 9 marzo 2010, pochi giorni prima della sua deposizione in aula, si toglie la vita il portiere dello stabile, Pietro Vanacore.

Al termine dei tre gradi di giudizio Busco è assolto in via definitiva dalla Cassazione. Così il delitto di Simonetta Cesaroni rimane ancora una volta senza colpevole.