"Per fortuna è un disperato". Così il professor Gabriele Di Giammarco, primario di Cardiochirurgia dell'ospedale "Santissima Annunziata" di Chieti, ha definito, inconsapevole di essere intercettato, un paziente 59enne morto a distanza di 20 giorni dall'intervento. Il primario, già agli arresti domiciliari, è coinvolto con altre persone nell'inchiesta "A cuore aperto" condotta dalla guardia di finanza del comando provinciale di Chieti e coordinata dal colonnello Serafino Fiore.
Le intercettazioni
Le indagini della Guardia di Finanza si sono basate su intercettazioni ambientali, telefoniche e riprese video.
A capo del sistema ci sarebbe stato proprio il professor Di Giammarco. Il primario, non sapendo di essere intercettato, come riportato dal quotidiano Il Centro avrebbe descritto, parlando con il collega Tomaso Bottio, "disperato" uno dei suoi pazienti.
Secondo l'accusa, tale definizione non avrebbe fatto riferimento alla condizione clinica dell’uomo, ma alla sua posizione socio-economica (l'uomo, socialmente debole, non aveva moglie, figli o altri familiari stretti); quindi il suo stato non avrebbe fatto temere eventuali azioni giudiziarie. Come precisato dal giudice Luca De Ninis, il decesso del paziente sarebbe legato ad alcune scelte di trattamento decise dal primario, ma del tutto incongrue rispetto alle sue esigenze.
Il riferimento del magistrato sarebbe, in particolar modo, all'acquisto del macchinario denominato "Heart Mate 3" e utilizzato nel corso dell’operazione.
Un dispositivo ritenuto non adeguato alle condizioni di salute del 59enne, ma voluto e richiesto dal professor Di Giammarco al fine di permettere ad alcuni imprenditori, da lui considerati amici, di attivare un nuovo canale di distribuzione dello strumento, rafforzando, in questo modo, un "rapporto di corruttela" che risulterebbe "già consolidato nel tempo".
In altre parole, le aspettative di vita dell'uomo sarebbero state sacrificate apertamente alle ragioni di interesse economico e di prestigio professionale del primario e dei suoi referenti.
'Operazione A cuore aperto'
Nei giorni scorsi, gli uomini della Guardia di finanza di Chieti, in concerto con i colleghi di Teramo, Pescara, Ascoli, Macerata e Padova, dando esecuzione alle ordinanze disposte dal gip del Tribunale di Chieti De Ninis (su richiesta del pubblico ministero Francesco Testa) hanno portato alla luce un presunto sistema di sperperi e favori in cambio di doni.
Le indagini, durate quasi un anno, hanno dimostrato un consumo spropositato e anomalo di protesi cardiache e altri dispositivi medici approvvigionati senza ricorrere a nessuna gara pubblica (l'ultimo bando emesso dall'Asl di Chieti risalirebbe infatti a quasi 10 anni fa).
Agli arresti domiciliari, oltre al professor Di Giammarco, già interdetto nell'ambito di un'altra inchiesta, sono finiti Maurizio Mosca, 63enne residente a Macerata, rappresentante legale della società "Mosca Srl" fornitrice e distributrice di valvole cardiache, ma anche socio di "Medisur srl", azienda operante nella distribuzione di altri apparati medicali; Antonio Pellecchia, 57enne di Teramo, rappresentante legale dell'omonima ditta che si occupa della distribuzione all'ingrosso di dispositivi medicali; e Andrea Mancini, pescarese di 46 anni, dipendente della società di Pellecchia.
Le accuse, per loro, sono di falso, corruzione, turbativa d'asta e omicidio colposo.
La guardia di finanza ha indagato per abuso d'ufficio anche l’attuale direttore amministrativo dell’Asl teatina Giulietta Capocasa (62 anni), residente a San Benedetto del Tronto (in provincia di Ascoli Piceno). All’epoca dei fatti, come riportato dalla stampa locale, era direttore generale facente funzioni dell’Asl Lanciano Vasto Chieti.