Aveva appena 16 anni Noemi Durini quando fu sepolta viva sotto un cumulo di pietre, nella campagna in provincia di Lecce, dal fidanzato reo confesso Lucio Marzo, di un anno più grande di lei. Era il 3 settembre 2017. Lucio Marzo, nel frattempo diventato maggiorenne, recluso da tre anni nell'istituto penale minorile di Quartacciu, in Sardegna, chiede di poter lavorare all'esterno del carcere.

Lucio Marzo, richiesta di uscire dal carcere

Il caso che sconvolse l'Italia è destinato ad accendere nuove polemiche. Ce ne furono dopo il delitto quando i genitori del ragazzo si schierarono dalla sua parte, "orgogliosi di lui".

Al momento, il reo confesso lavora in carcere ma, tramite il suo legale, Luigi Rella, chiede di poter usufruire di permessi per lavorare all'esterno. Il nostro sistema giudiziario consente di avvalersi di sconti di pena e permessi premio, specie a chi commetta un reato da minorenne. All'epoca del delitto prima, della condanna, poi, Lucio Marzo lo era, e dopo aver scontato un quarto della pena, potrebbe usufruire dei benefici di legge. In caso di buona condotta, la sua richiesta dovrà essere vagliata dal Tribunale di sorveglianza in base anche alle relazioni prodotte dai responsabili del carcere minorile.

In primo grado, Lucio Marzo è stato condannato a 18 anni e 8 mesi per omicidio volontario, con le aggravanti di aver commesso il fatto con premeditazione, per motivi abietti e futili, e di aver agito con crudeltà.

Il massimo della pena, considerando che il processo si è svolto con la formula del rito abbreviato che garantisce all'imputato lo sconto di un terzo della pena. La condanna è stata confermata in Appello nel 2019: la difesa del ragazzo ha rinunciato a presentare ricorso in Cassazione. La scelta è di beneficiare di misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario, ispirate a principi costituzionali.

Caso Lucio Marzo, rischio 'devittimizzazione'

Il rischio della "devittimizzazione' di Noemi Durini, "uccisa in modo atroce" da Lucio Marzo, c'è ed è alto. A dirlo è la criminologa pugliese, Isabel Martina, che sottolinea il difficile equilibrio tra ragioni del diritto e quelle dei familiari delle vittime. Da una parte, infatti, ci sono le misure riabilitative volte al recupero e al reinserimento del detenuto nella società, previste dal nostro ordinamento.

Dall'altra, fa notare la specialista, ci sono le esigenze di una giustizia realmente giusta, dettate dal rispetto della memoria specie di determinate vittime. Nel caso specifico, la criminologa osserva che Lucio Marzo non ha mai ben compreso la gravità del delitto da lui commesso, potendo contare, oltretutto, sulla solidarietà e persino giustificazione morale dei suoi genitori.

Non ha avuto alcun moto di pentimento, ed è ciò che più ha sconvolto i genitori di Noemi. "Lucio è stato impassibile quando è stata letta la sentenza. Era lucido e cosciente di quello che ha fatto", ha dichiarato, dopo la condanna in Appello del ragazzo, Umberto Durini, padre di Noemi che ha assistito a tutte le udienze.

"Non ha mai chiesto perdono. Non mi ha mai guardato in faccia - ha aggiunto - 18 anni sarebbero più che giusti che li trascorresse tutti in carcere". E lmma Izzo, la mamma di Noemi, ha commentato: "Non basterebbe una vita in carcere per un gesto come questo".

Lucio Marzo, prima confessa e poi ritratta

Noemi abita a Specchia, in provincia di Lecce, con la mamma, la sorella maggiore Benedetta e la sorellina più piccola che all'epoca dei fatti ha nove anni, quando scompare in piena notte. Viene vista per l'ultima volta proprio con Lucio Marzo a bordo di una Fiat 500 che il ragazzo ha sottratto ai genitori. Col passare del tempo, si intensificano appelli e ricerche. Solo dopo dieci giorni, il ragazzo confessa l'omicidio e indica ai carabinieri il luogo dove ha nascosto il corpo di Noemi: sotto un cumulo di pietre a San Giuseppe di Castrignano del Capo, a pochi chilometri da Santa Maria di Leuca.

La ragazza è stata picchiata, accoltellata e sepolta ancora viva. Interrogato, in un primo momento dice di averla uccisa perché lei l'avrebbe pressato per ammazzare i suoi genitori che si opponevano alla loro relazione, simulando una rapina in casa. Poi, in carcere, nel gennaio 2018, ritratta la confessione scrivendo in una lettera che a uccidere Noemi sarebbe stato un meccanico che viene indagato e poi scagionato. Il Dna di Lucio, trovato dai Ris sotto un'unghia di Noemi, lo inchioda definitivamente. Unico indagato, è processato e condannato, dopo che viene respinta la richiesta della difesa di rinnovare la perizia psichiatrica e di messa alla prova, perché sono assenti segni di ravvedimento. La relazione tra lui e Noemi è stata sempre mal vista dalla famiglia della ragazza, tanto che Imma Izzo lo aveva denunciato due volte accusandolo di picchiare la figlia.