Non c’è stata nessuna rapina la sera della scorsa vigilia di Natale nella villetta di Montecassiano, piccolo comune della provincia di Macerata: Rosina Carsetti, 78 anni, non è stata quindi uccisa da un ladro. Infatti, per gli inquirenti a togliere la vita all’anziana sarebbero stati i parenti più stretti: nelle scorse ore sono stati arrestati la figlia della vittima Arianna e il nipote Enea, con l’accusa di essere stati gli autori materiali del delitto. La madre è stata accompagnata a Villa Fastiggi, carcere femminile di Pesaro, mentre il figlio ora si trova nel penitenziario di Montacuto ad Ancona.

Secondo gli investigatori, nella vicenda sarebbe direttamente coinvolto anche il marito di Rosina, Enrico, che però non è finito in prigione data la sua età avanzata, 79 anni. Tutti quanti sarebbero accusati di aver ucciso la donna, dopo aver pianificato nei dettagli come agire per crearsi un alibi, con l’aggravante della minorata difesa, ossia della situazione di debolezza in cui versava la 78enne.

In passato Rosina era stata vittima di maltrattamenti in famiglia

I magistrati della procura di Macerata si sono trovati di fronte a un contesto familiare difficile, nel quale i rapporti umani erano da tempo “fortemente deteriorati”. In passato c’erano già stati gravi episodi di maltrattamenti che denotavano un crescente odio dei familiari nei confronti dell’anziana.

Dal canto suo Rosina, o meglio Rosy, come era conosciuta in paese, avrebbe più volte raccontato alle amiche di vivere una situazione difficile in casa. Inoltre gli inquirenti al momento non escludono un movente economico per il delitto, vista la scomparsa di una certa somma di denaro, su cui si sta ancora indagando. Su un particolare gli investigatori non hanno dubbi: sarebbe stata la figlia Arianna a dirigere e organizzare nei dettagli l’assassinio di Rosina.

Il racconto della finta rapina durante la quale sarebbe stata uccisa Rosina

Le indagini, coordinate dal procuratore di Macerata Giovanni Giorgio e dal sostituto Vincenzo Carusi, si sono soffermate sulla rapina, che sarebbe stata simulata. Infatti su una porta della villetta di Rosina erano stati rilevati diversi segni di effrazione, che in realtà sarebbero stati creati apposta dagli arrestati per depistare l’inchiesta.

La sera della vigilia di Natale era stata Arianna a telefonare ai carabinieri, inventandosi la storia di un malvivente mascherato, vestito di nero, alto e con un chiaro accento dell’Est Europa, che si era introdotto nell’abitazione poco prima di cena. La donna aveva descritto più volte le sequenze dell’aggressione: secondo la sua versione lo sconosciuto, prima di fuggire con duemila euro, avrebbe picchiato e ucciso Rosina, legando marito e figlia, che erano presenti con l'anziana in casa. I due successivamente sarebbero stati liberati da Enea, al rientro del ragazzo. L’arrestata aveva più volte ripetuto il racconto anche davanti alle telecamere, arrivando perfino a mimare le mosse dell’intruso: ora insieme ai familiari dovrà rispondere anche del reato di simulazione di rapina.

I dubbi degli inquirenti sull’assassinio di Rosina

Fin dal primo momento però gli inquirenti non avevano creduto alla ricostruzione degli eventi raccontata dai parenti di Rosina, anche perché, a parte i segni di effrazione, non sono state riscontrate altre tracce della presenza di un rapinatore nella villetta. Inoltre i tre indagati si sono contraddetti più volte durante le loro deposizioni: in alcune intercettazioni si sentivano gli accusati rinfacciarsi gli errori commessi. Nel corso delle indagini sono emersi i maltrattamenti che l’anziana subiva in famiglia da tempo, come durante un litigio con il nipote Enea dello scorso novembre, quando Rosina era arrivata a chiedere l’intervento dei carabinieri.

A quanto pare la donna aveva l’intenzione di rivolgersi a un centro anti violenza a Macerata, chiedendo una consulenza legale per difendersi dalle vessazioni subite dai familiari. Infine l’autopsia aveva evidenziato la spropositata violenza del pestaggio subito dalla 78enne prima di essere soffocata.