Venerdì 21 maggio si è tenuto il processo per la morte di Serena Mollicone, la 18enne di Arce in provincia di Frosinone, che venne trovata senza vita nel boschetto dell'Anitrella il 3 giugno 2001, due giorni dopo la sua scomparsa, In aula ha parlato il carabiniere Gabriele Tersigni, oggi in pensione. Il militare, che per primo arrivò sul luogo del ritrovamento, ha dichiarato: "Capii che non era stata uccisa nel bosco [...] che era una messinscena". Del caso di Cronaca Nera, in questi anni, si è a lungo occupata la trasmissione Rai "Chi l'ha visto?".

La testimonianza del luogotenente Gabriele Tersigni

Il primo teste nominato dal pubblico ministero Beatrice Siravo a comparire di fonte alla Corte d'assise è stato l'ex comandante dei carabinieri di Fontana Liri, il luogotenente Gabriele Tersigni. Il militare fu tra i primi ad arrivare sul luogo del ritrovamento di Serena Mollicone, in località Fonte Cupa, nel bosco di Anitrella, frazione del comune Monte San Giovanni Campano, a due passi da Arce.

Tersigni, nella sua deposizione lunga circa due ore, ha ripercorso quanto accaduto nel primissimo pomeriggio del 3 giugno di vent'anni fa.

Intanto, sul maxi schermo allestito nell'aula del Campus Universitario della Folcara, scorrevano le immagini del corpo senza vita di Serena.

Ad assistervi anche l’ex maresciallo Franco Mottola, con la moglie Anna e il figlio Marco: i tre sono accusati di omicidio.

"Fui chiamato della protezione civile - ha ricordato Tersigni - e mi informarono del ritrovamento. Quando arrivai sul posto il corpo era ben nascosto tra i rovi". A suo dire, la testa non si vedeva perché coperta da una busta del supermercato.

Le scarpe, invece, si potevano scorgere, mentre altre parti del corpo risultavano bloccate con il nastro adesivo ed il fil di ferro. "Mi fu subito chiaro che Serena Mollicone non era stata uccisa lì - ha poi aggiunto - quelle caviglie così strette sembravano un eccesso di zelo, una messinscena".

L'ex comandante Tersigni ha poi spiegato che, a un certo punto, fu raggiunto da tre marescialli (Mottola, Gaudio e Mangano) accompagnati da Antonio Fraioli, un familiare di Serena che la identificò.

Il telefonino di Serena e la pista satanica

Come ricordato dallo stesso luogotenente, quando la 18enne di Arce venne ritrovata priva di vita vennero avanzate diverse ipotesi, alcune delle quali definite "inverosimili" dal militare; si parlò, infatti, di satanismo ma anche di suicidio. "Quando andai da Mottola e proposi d'indagare con decisione nella cerchia dei conoscenti - ha continuato - lui apparve sorpreso, quasi indignato".

Come ricostruito durante il processo, il telefonino di Serena venne rinvenuto nella sua cameretta solo in un secondo momento, il 9 giugno, da papà Guglielmo. Tuttavia, il 3 giugno, il maresciallo Gaudio ed il maresciallo Cimini, che controllarono la presenza di alcuni effetti personali nella stanza della ragazza, dichiararono di non aver visto il dispositivo.

Il cellulare, stando a quanto ricostruito in aula, sarebbe stato messo lì da qualcuno. Secondo gli investigatori, a farlo ritrovare "casualmente" sarebbe stata la stessa mano, sconosciuta, che salvò in rubrica il numero "666" associandolo al nome "Diavolo".