Vanessa Zappalà era diventata come una sorella minore per il luogotenente Corrado Marcì, comandante della stazione di Trecastagni, paese in provincia di Catania. Il militare aveva raccolto la denuncia della 26enne uccisa la notte di domenica 22 agosto ad Aci Trezza con sette colpi di calibro 7 e 65 esplosi dall’ex compagno, il 38enne Antonino Sciuto, che poi si è impiccato. Al militare resta il rammarico di non averla potuta salvare. Domani i funerali di Vanessa.

Il carabiniere: 'È come se avessi perso una sorella'

"È come se avessi perso una sorella.

La morte di Vanessa mi ha lasciato un vuoto enorme", sono le parole di Marcì che ha seguito il caso della ragazza da quando, lo scorso maggio, si era presentata in caserma a sporgere denuncia di stalking contro l'ex portando prove: video sullo smartphone con gli appostamenti di lui, note con orari e strade degli appostamenti. Quando convivevano, lui la picchiava e lei copriva i segni delle violenze fisiche con foulard e fondotinta. Troncata la relazione, era stata insultata, minacciata, pedinata. Sciuto aveva persino installato un gps sotto la sua auto e quella del padre, era arrivato a spiarla nascondendosi in un sottotetto e usando la canna fumaria del camino per ascoltare le conversazioni tra lei e il padre.

Marcì ha cercato di proteggerla. Il militare, sposato e padre di famiglia, era diventato l'angelo custode di Vanessa, pronto ad ascoltarla e ad accogliere le sue richieste di aiuto. Lo scorso giugno, il carabiniere ha arrestato Sciuto in flagranza di reato. "Ero terrorizzata, sono scesa in garage, ho parcheggiato l’auto e nel frattempo ho chiamato il comandante", ha riferito Vanessa nella sua denuncia.

"Mi sputa in faccia, urla femmina p*****a, divertiti che poi mi diverto io, con il telefonino mi ha rotto gli occhiali", è anche scritto nel testo. Sciuto ha trascorso solo tre giorni ai domiciliari, terminati i quali il gip ha disposto solo il divieto di avvicinamento.

Sembrava che finalmente lui avesse deciso di lasciarla in pace.

Dopo mesi da reclusa, Vanessa ha cercato di tornare alla normalità. "Non uscire da sola e non frequentare posti isolati", il suggerimento di Marcì che lei ha seguito anche domenica notte a passeggio con amici sul lungomare di Aci Trezza. Sciuto l'ha raggiunta: "Vattene o chiamo il maresciallo”, le ultime parole di lei. Ma lui l'ha presa per i capelli e le ha sparato.

Vanessa Zappalà, il diario degli agguati

A Trecastagni, paese alle pendici dell'Etna, Vanessa era benvoluta da tutti. Era una ragazza semplice e sempre sorridente, non mostrava le ferite, né quelle fisiche per le botte ricevute, né interiori. Lavorava da 4 anni in un panificio e la sera trascorreva le serate in compagnia delle cugine con cui era cresciuta.

Le amiche hanno riferito che da quando lui sembrava scomparso, lei era rinata e l'ultima notte della sua vita era più bella che mai. Nei mesi precedenti, era stata terrorizzata: aveva tenuto un vero e proprio diario degli agguati. Pagine che hanno registrato il suo calvario: "Dopo la denuncia ai carabinieri continua a seguirmi. Sono in ansia, ho paura”, aveva scritto sul bloc notes in cui appuntava ogni giorno cosa accadeva.

Il papà: 'La sua morte una sconfitta dello Stato'

Il papà di Vanessa, Carmelo Zappalà ha detto che la morte della figlia segna l'ennesima sconfitta dello Stato. Carmelo ha contestato il fatto che il gip non abbia convalidato l'arresto di Sciuto rimettendolo in libertà: da quel momento l'uomo avrebbe pianificato tutto, maturato la decisione di uccidere sua figlia e di uccidersi.

Il presidente dell'ufficio del Gip di Catania, Nunzio Sarpietro, gli ha risposto a distanza che il collega non avrebbe alcuna colpa essendosi limitato ad applicare la legge, tenuto conto che nel fascicolo ci sarebbero stati elementi contrastanti, come un riavvicinamento tra i due. Inoltre, per Sarpietro, anche se Sciuto fosse rimasto ai domiciliari, avrebbe potuto evadere e commettere ugualmente il delitto, e per disporre la carcerazione occorrono elementi gravi. Per Loredana PIazza, fondatrice del centro antiviolenza Thamaia a Catania, non basta la legge, non è un problema solo normativo, ma culturale: riguarda il modo di percepire la relazione uomo donna e come gli uomini maltrattanti si relazionano alle donne considerandole loro proprietà.

"Aveva denunciato il suo stalker e lo Stato non l'ha protetta, sostiene invece Valeria Valente, presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio del Senato che chiederà l'accesso agli atti. Valente ritiene che se Sciuto fosse stato agli arresti domiciliari, magari con un braccialetto elettronico, Vanessa sarebbe ancora viva. "Ha creduto nello Stato, nella forza della sua denuncia, invece una magistratura impreparata a capire la violenza sulle donne non l’ha difesa".