Esiste un’area geografica del pianeta in cui la criminalità organizzata sembra poco organizzata e molto “liquida”. Un’area che si sviluppa attorno alle cascate del Niagara e che si estende fra il Canada e lo stato di New York, negli Usa. Il termine più utilizzato per descrivere il milieu criminale che si annida in quest’area è infatti un generico “malavita”, perché qui le strade delle due principali associazioni mafiose di origine italiana presenti in Nordamerica – Cosa nostra siciliana e la ’ndrangheta calabrese – si incrociano spesso e volentieri. Ne è un esempio lampante la città di Hamilton, in Ontario, quarto centro più popoloso del Canada con oltre 570mila abitanti, che nel corso del tempo si è trasformato in un vero e proprio laboratorio criminale tra faide, tregue, alleanze e affari.

A partire dalla metà del secolo scorso, le tre famiglie che si sono spartite Hamilton avevano tutte solide origini calabresi: i Papalia e i Musitano di Delianuova e i Luppino-Violi di Oppido Mamertina. Oltre alle radici in comune, però, tutte e tre sono anche caratterizzate dai rapporti sempre più stretti con la mafia siciliana. Tanto da diventare, in alcuni casi, un tutt’uno.

La “doppia affiliazione” del boss Dom Violi

La riprova emerge dagli atti dell’operazione Project OTremens della Royal Canadian Mounted Police (RCMP) e dell’Fbi, che nel novembre del 2017 ha inferto un duro colpo alla criminalità italo-canadese.

Un’inchiesta importante anche sotto l’aspetto criminologico, come fa notare in alcune sue pubblicazioni la professoressa Anna Sergi dell’Università dell’Essex, che ha studiato a lungo l’evolversi “dell’underworld” criminale nella GTA, la Greater Toronto Area. Proprio in questa indagine la polizia, grazie a un agente sotto copertura, è riuscita a documentare anche il presunto caso di “doppia affiliazione” di Domenico Violi, 55 anni, l’ultimo boss calabrese di Hamilton, nonché referente della famiglia Luppino-Violi.

In un’intercettazione “Dom” Violi riferisce al suo interlocutore di essere infatti stato promosso al grado di «underboss» nella famiglia siciliana dei Todaro di Buffalo, ponendosi dunque a metà strada tra una delle cinque storiche famiglie di cosa nostra newyorkese (i Bonanno) e il Siderno Group, avamposto della ’ndrangheta calabrese nella GTA (che fa capo alla ’ndrina dei Commisso “quagghia”).

Il Donnie Brasco 2.0 che racconta la mafia dall’interno

Project OTremens non è un’operazione di polizia come tante. Sia per i numeri imponenti – 200 agenti coinvolti, un migliaio di informative redatte, 319 incontri fra indagati registrati e trascritti, 130mila atti investigativi prodotti, – sia per la qualità delle informazioni prodotte. Agendo nei panni di un moderno Donnie Brasco, un poliziotto canadese è infatti riuscito a infiltrarsi per quattro anni nella famiglia Bonanno fino a diventarne un affiliato. In questo modo gli investigatori hanno potuto documentare dall’interno struttura, rituali e attività dell’organizzazione criminale, in particolare la suddivisione dei ruoli dei soggetti impegnati nel traffico di droga.

Altri agenti sotto copertura hanno invece operato come finti clienti, riuscendo così a impedire che grosse quantità di stupefacenti di ogni tipo finissero in commercio. In totale, la RCMP e i federali hanno infatti sequestrato 40 chili di cocaina, 13 di eroina, sei di fentanil e 260mila pasticche di metanfetamine ed MDMA.

L’epidemia di morte ad Hamilton

Uno dei grandi successi di questa inchiesta è anche l’aver intercettato le parole di Violi – poi condannato a 8 anni e da poche settimane in libertà vigilata, – dalle quali si evince che, in quell’area, le cosche preferiscono allearsi fra loro per fare affari e mantenere il controllo del territorio. Niente scontri, niente faide: nulla a che vedere con il passato, insomma.

Un passato anche molto recente, in realtà, come dimostra l’epidemia di violenza che da cinque anni a questa parte si è abbattuta su Hamilton, portando in rapida sequenza alla morte di personaggi emergenti come Albert Iavarone o più affermati come Cece Luppino, nipote del capostipite dell’omonimo clan, Giacomo. E che ha decretato la fine di un’altra delle tre storiche famiglie calabresi della città dell’Ontario: i Musitano, le cui radici affondano a Delianuova, in provincia di Reggio Calabria. Fra il maggio 2017 e il luglio 2020 dei killer hanno infatti freddato i fratelli Angelo detto “Ang”, 39 anni, e Pasquale “Fat Pat” Musitano, 52 anni, reggenti del clan. Di entrambi i delitti sappiamo ancora poco, se non che due componenti del commando di fuoco che ha ucciso Ang Musitano sono stati ritrovati morti nel deserto del Messico, mentre un terzo risulta tuttora ricercato dall’Interpol.

Ad avere un’eco maggiore è stato però l’omicidio di Pat, soprattutto per la caratura e l’eccentricità del personaggio, che gli investigatori descrivevano come una sorta di Tony Soprano ante litteram.

La faida Musitano-Papalia e l’ombra dei Rizzuto

Anche quella del clan Musitano è la storia di un progressivo appiattimento dei calabresi sui siciliani. In particolare sulle principali famiglie di cosa nostra a Montréal, i Cuntrera Caruana e i Rizzuto, considerati di fatto la «sesta famiglia» di New York (il nucleo storico delle cosiddette “cinque famiglie” storiche è composto dai Bonanno, dai Colombo, Gambino, Genovese e Lucchese) con dominio sul Québec. È trovando la loro sponda, infatti, che i Musitano riescono ad evitare l’inizio di una faida contro i Papalia, anche loro originari di Delianuova e di stanza ad Hamilton.

Il momento di massima tensione fra le due famiglie arriva nel 1997, quando viene ucciso Johnny “Pops” Papalia, freddato insieme al suo braccio destro, Carmine Barillaro, su ordine dei Musitano per un debito non onorato di 250mila dollari derivante dal business delle scommesse clandestine. Fin dagli anni Cinquanta Pops si era affermato come uno dei boss più influenti dell’epoca nonché come esponente di spicco del ramo canadese della famiglia di Buffalo, a lungo guidata da Stefano Magaddino, boss originario di Castellammare del Golfo, protagonista della cosiddetta “guerra castellammarese” negli Stati Uniti e rappresentante della propria famiglia nella cupola mafiosa statunitense guidata da Lucky Luciano per quasi cinquant’anni.

Ciò non è però bastato a scoraggiare i rampanti Ang e Fat Pat.

Alla fine, nel 2000, incastrati dalle confessioni davanti agli investigatori del killer da loro stessi assoldato, i fratelli Angelo e Pasquale Musitano patteggiano 10 anni di carcere per l’omicidio Barillaro e in cambio ottengono il proscioglimento dalle altre accuse, compresa quella di essere i mandanti del delitto Papalia. Senza la loro figura di maggior rilievo, i Papalia tendono progressivamente ad eclissarsi dal panorama criminale di Hamilton; mentre gli antichi dissapori fra le due famiglie sono invece sopravvissuti nel tempo, perlomeno fino alla recente morte dei fratelli Musitano. Non è raro, infatti, imbattersi su YouTube in alcuni video in cui i giovani discendenti dei due clan simulano agguati e omicidi nei confronti della fazione rivale.

Un segno, virtuale, dell’odio mai sopito.

Addio al sangue, ora spazio agli affari

L’unico clan rimasto in campo è dunque quello dei Luppino-Violi. Al vertice oggi c’è il già citato Domenico Violi, che anche durante il periodo di detenzione in cella ha dato dimostrazione di essere un “capo”. Alcuni report interni del Correctional Service of Canada (CSC), l’ente incaricato di gestire il sistema carcerario del Paese, hanno infatti documentato l’influenza che Violi aveva sugli altri detenuti, talmente riverenti nei suoi confronti da donargli perfino i loro pasti. Un’indagine interna ha poi intercettato alcuni movimenti sospetti di denaro fra i reclusi dello stesso braccio di Dom Violi, in molti casi intermediati da un soggetto ritenuto in stretto contatto con il boss 55enne.

Al netto del suo carisma, Violi è a tutti gli effetti l’emblema di questa «liquidità» mafiosa che caratterizza i clan siciliani e calabresi attivi fra Canada e Stati Uniti, i quali alle antiche faide preferiscono di gran lunga gettare le basi per solide e durature alleanze in nome degli affari. Prima del suo arresto, come emerge dalle intercettazioni raccolte in Project OTremens, in virtù della sua doppia affiliazione Dom Violi voleva infine proporsi come garante anche dell’affiliazione del fratello Giuseppe detto “Joe” (che oggi sconta 16 anni per narcotraffico) direttamente con i Bonanno, oltre che come promotore di un incontro fra gli zii Rocco e Natale Luppino con il presunto boss di Buffalo, Joe Todaro.

L’ennesima dimostrazione che i soldi contano più del sangue e delle radici.

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