PaoloDum DumSalvaggio, il 60enne narcotrafficante ucciso lo scorso 11 ottobre in strada a Buccinasco non era una vittima qualsiasi. Sebbene formalmente fosse fuori dal giro, il suo nome contava ancora parecchio nello scenario criminale milanese. Questa, perlomeno, è una delle ipotesi che stanno seguendo i carabinieri del nucleo investigativo, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano, che indagano sulla sua esecuzione, avvenuta in pieno giorno in una delle vie più trafficate della ricca cittadina dell’hinterland Sud del capoluogo lombardo. Fine peraltro accelerata, dato che Salvaggio – che si trovava ai domiciliari – era malato terminale. Lo scoglio maggiore per le forze dell’ordine sarà dunque individuare la strada giusta da seguire per risolvere il puzzle.

Dopo l’agguato, infatti, i carabinieri gli hanno trovato addosso tre cellulari, di cui uno criptato. Da qui l’ipotesi che potesse essere rientrato nel business che lo aveva accompagnato negli ultimi anni della sua carriera criminale: il narcotraffico. Le indagini procedono nel massimo riserbo e gli interrogativi a cui rispondere sono ancora tanti. Ad esempio: con chi era in affari “Dum Dum”? O meglio, con quanti ancora faceva affari? Che Salvaggio fosse un pezzo da novanta lo si sapeva già.

Nel 2011, una delle ultime indagini sul 60enne – il terzo atto dell’operazione “Pavone” dei Ros – fornisce uno spaccato interessante sulla sua rete di contatti: da lui, infatti, si rifornivano contemporaneamente due distinti gruppi criminali attivi fra Baggio e Quarto Oggiaro che oscillavano fra gli eredi della famiglia siciliana dei Crisafulli e personaggi vicini a quella calabrese degli Zagari.

A sua volta, il broker originario di Pietraperzia (Enna) si riforniva da “grossisti” serbo-montenegrini.

La mala pugliese, le ’ndrine e i narcos dell’Est

Ma la rete di contatti di Paolo Salvaggio non si esaurisce qui. Nel 2009 era già finito in manette nell’operazione “Parco Sud” della Dda di Milano, l’inchiesta che ha contribuito a cristallizzare l’infiltrazione delle cosche della ’ndrangheta calabrese, in particolare il potente clan Barbaro-Papalia di Corsico-Buccinasco, nel sistema edilizio lombardo.

“Dum Dum” non era affiliato, ma conosceva il mondo degli affari. E sapeva che non c’è miglior biglietto da visita del denaro liquido: “Io pago in contanti”. Proprio come un altro gruppo con cui è stato in contatto, la famiglia Magrini di Settimo Milanese, ritenuta contigua alla sacra corona unita pugliese. Negli ambienti criminali i Magrini sono noti come i “Cavallero”, dal soprannome del capostipite, Vito Magrini, per anni re delle scommesse clandestine all’ippodromo di San Siro. Anche se, alla fine, su di loro Salvaggio aveva più di un dubbio: “Ha pagato il figlio di Cavallero, Gigi… – si legge in un’intercettazione –. Anche lui… Eh, lui deve stare attento, lui è più… È della batteria di là”.

Negli atti di “Parco Sud” la polizia giudiziaria, oltre a documentare i singoli episodi di cessione di cocaina, tratteggia i contorni di un vero e proprio “gruppo Salvaggio”, che il narcotrafficante era riuscito a costruire grazie ai contatti con i fornitori in Sud America e in Montenegro ereditati da Rocco Molluso, classe ’70, un tempo attivo a San Donato Milanese. Di questo gruppo avrebbero fatto parte i nipoti acquisiti di “Dum Dum”, i fratelli Grifa – Michele e Costantino, detto “Dino” – anche loro in contatto con i Barbaro-Papalia e con i narcos serbi. E anche loro apprezzati perché in grado di comprare la “roba” a poco pagandola subito in contanti. Nel 2009, insieme a Salvaggio, era invece finito in manette pure il figliastro, Claudio Triglione.

Il padre naturale, Leonardo “Leo” Triglione, alla metà degli anni ’80 aveva pianificato un agguato mortale contro Salvaggio, dal quale “Dum Dum” era uscito vivo quasi per miracolo. Il movente? Una donna contesa. Il 29 gennaio 1987, giorno del suo 26esimo compleanno, Salvaggio, mentre si sta recando a un appuntamento con la ragazza in questione, viene infatti affiancato da un furgone in corsa che gli scarica contro una pioggia di piombo, ferendolo solo di striscio.

La (lunga) carriera criminale di “Dum Dum”

Ma questo è soltanto l’ultimo della lunga serie di episodi che hanno costellato l’incredibile storia criminale di Paolo Salvaggio. Storia che comincia la notte di Capodanno del 1978. Salvaggio ha appena 17 anni e trascorre la serata insieme a un gruppo di amici al night “04” di Bereguardo, nel Pavese.

Dopo aver bevuto, però, il gruppo si rifiuta di pagare e il buttafuori, l’ex pugile Nereo De Pol, caccia fuori dal locale la banda. Che, più tardi, torna per cercare vendetta: la discussione sfocia in lite, poi in rissa, infine in sparatoria. De Pol è disarmato e muore colpito proprio dal 17enne Salvaggio, che già all’epoca era conosciuto con il soprannome di “Dum Dum”, come le micidiali pallottole. Dopo il delitto, la sua fuga durerà appena quindici giorni, fino al 16 gennaio, quando alle 7 del mattino i carabinieri fanno irruzione in un appartamento in zona Centrale e lo arrestano sorprendendolo con una rivoltella sotto il cuscino. Seguirà poi una storia di appelli pubblici della madre del “mini-killer” (come lo ribattezzano i giornali dell’epoca) e di evasioni – ben tre – dal carcere minorile Beccaria.

Ciliegina sulla torta sono le rapine. Le ultime risalgono ai primi anni ’90, quando ormai il curriculum di Salvaggio è foltissimo, come dice lui stesso agli agenti che lo arrestano: “Ho tutti i reati del codice penale, meno la violenza carnale”. Quindi il narcotraffico e, infine, la caduta sotto i colpi di pistola due settimane fa a Buccinasco.

Milano e la rete dei “freelance” della droga

A Milano, però, la parabola di Paolo Salvaggio non è un caso isolato. Perché nella “capitale morale” d’Italia non c’è un vero capo, né un’organizzazione che sia in grado di gestire da sola le redini dello spaccio. La “neve” e le altre droghe in città le muovono in tanti. Tanti principi, ma nessun re. “A Milano e in Lombardia il traffico di droga è come la gramigna, una pianta infestante”, racconta a Blasting Investigations un finanziere del Goa, il nucleo antidroga della Guardia di Finanza.

“I traffici qui si muovono a trecentosessanta gradi e tutti fanno affari con tutti, tanto che a volte ci troviamo di fronte a soggetti collegati gli uni con gli altri. L’unico obiettivo è fare soldi, come nel commercio in Borsa. Non chiedeteci perché, ma Milano è sempre il crocevia”. Di spazio, tanto, ce n’è per tutti. Lo dimostrano ad esempio i dati della Direzione centrale per i servizi antidroga del ministero dell’Interno, dalla quale emerge che nel 2020 fra il capoluogo lombardo e l’hinterland si è registrato il 4,19% del totale dei sequestri di sostanze stupefacenti eseguiti a livello nazionale. A Milano, inoltre, si concentra il 12,43% delle operazioni antidroga (2.821) portate a termine dalle forze dell’ordine in tutta Italia nell’anno della pandemia.

In totale nell’area metropolitana milanese sono stati sequestrati 2.467,46 kg di stupefacenti, di cui 100 di eroina, 71 di cocaina, 1.568 di hashish e 691 di marijuana. In proporzione, i sequestri operati a Milano hanno riguardato il 19,55% di tutta l’eroina messa sotto chiave a livello nazionale e il 16,09% di hashish. Insomma, i broker si muovono da “freelance” e fanno affari un po’ con tutti: alla fine l’importante è avere le tasche gonfie di contanti. C’è chi addirittura ne ha così tanti che non sa dove metterli e decide di murarli, dietro una parete a casa del padre. È il caso di un altro dei principi di Milano, Massimiliano Cauchi, vero e proprio imprenditore del narcotraffico a cui nel giugno 2020 la polizia ha sequestrato 17 milioni in banconote da 50, 100, 200 e 500 euro riposte accuratamente in 28 scatoloni, a loro volta murati in un’intercapedine del muro dietro a un armadio.

Il più grande sequestro di denaro contante della storia in Italia. Soldi che Cauchi ha accumulato smerciando hashish sulla piazza di Milano, anche grazie a un canale d’approvvigionamento diretto in Marocco.

Vecchi e giovani boss: il ricambio generazionale

In Lombardia i clan, in nome degli affari, sono pronti a seppellire l’ascia di guerra. I contrasti nelle terre d’origine sono alle spalle: al Nord si pensa solo a fare soldi, montagne di soldi. Lo racconta anche Laurence Rossi, classe ’77, autoproclamatosi “re della Comasina” che oggi collabora con la giustizia. Interrogato dai pm della Dda, spiega infatti che le vecchie divisioni territoriali sono acqua passata: niente più Flachi alla Comasina, niente più Crisafulli a Quarto Oggiaro.

Anche perché, come ogni parabola che si rispetti, a un apice corrisponde sempre un punto di non ritorno, che può essere la morte – come nel caso di “Dum Dum” – oppure il carcere. Il boss Biagio “Dentino” Crisafulli, ad esempio, ha continuato a gestire il racket anche da dietro le sbarre, fino a quanto le condanne non si sono accumulate. Tra i suoi alleati c’erano anche i fratelli Tatone, due dei quali – Pasquale ed Emanuele – ammazzati nell’arco di tre giorni nell’ottobre 2013.

Ma nel mercato c’è spazio anche per i clan stranieri. Soprattutto i gruppi serbi, a cui tutti fanno riferimento quando bisogna comprare tanta “bianca” a poco prezzo. I nomi principali sono quelli di Jakov Kontic, colonnello dell’esercito di Darko Saric, trafficante a capo di uno dei cartelli più potenti dell’area balcanica e dell’Europa intera.

Kontic aveva allacciato rapporti (anche di parentela) con i già citati Magrini, mentre i “soldati” di Saric rifornivano i broker attivi sulla piazza milanese, tra cui lo stesso Paolo Salvaggio. Nel frattempo, Kontic è stato preso dopo un periodo di latitanza, l’impero di Saric è crollato, mentre “Dum Dum” è stato freddato sotto gli occhi dei passanti a Buccinasco. E così il cerchio si è chiuso. In attesa forse che arrivi un ricambio generazionale anche nel mondo del traffico di droga a Milano. Dove giovani narcobroker rampanti sono pronti a scrivere i nuovi capitoli di questa lunga storia, fatta di dinastie criminali che si inseguono fra i palazzi di Milano. La città degli affari, la città che corre e non aspetta nessuno.

La città con tanti principi, ma nessun re.

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