La svolta nel giallo del pozzo di Toano dove lo scorso 11 maggio è stato trovato il corpo senza vita del 77enne Giuseppe Pedrazzini, è arrivata a sorpresa. Ieri, 31 maggio, la vedova 63enne, Marta Ghilardini, è andata in Procura ed ha rotto il silenzio: la figlia e il genero avrebbero gettato l'anziano nella cisterna che l'anziano utilizzava per irrigare l'orto, a pochi metri dalla casa nella frazione di Cerrè Marabino. Il pensionato era sparito dall'inizio dello scorso gennaio, ma nessuno dei familiari stretti che vivevano con lui, moglie, figlia e genero, aveva fatto denuncia di scomparsa.
Al contrario i familiari, specie il genero, avevano allontanato chi era andato nella proprietà a cercarlo.
Beppe morto nel pozzo, la moglie Marta confessa
Il funerale di Pedrazzini che si è svolto la settimana scorsa, eseguita l'autopsia e avuto il nulla osta dalla Procura, ha fatto da spartiacque tra un prima e un dopo. C'è un prima in cui una Marta Ghilardini sfuggente e contraddittoria, rilasciava dichiarazioni alla stampa parlando a nome suo ma anche della figlia Silvia e del genero Riccardo Guida. Quarantotto ore dopo le esequie, tutto è cambiato: la 63enne, senza neanche informare il suo legale, è andata dai carabinieri presso la caserma di Castelnuovo Monti dove ha reso dichiarazioni spontanee.
E ieri la donna, non più succube del genero che tanto temeva, evidentemente ha voluto recidere del tutto complicità su un terribile segreto di famiglia: accompagnata da due carabinieri, ha fatto ingresso al Tribunale di Reggio Emilia. Per tre ore, si è fatta interrogare dalla pm Piera Giannusa, titolare dell'inchiesta. Ha ammesso che a disfarsi del corpo di 'Beppe' sono stati loro tre.
O meglio, la figlia e il genero, indagati in concorso con lei per sequestro di persona, omicidio e occultamento di corpo: con un telo l'avrebbero trasportato dal casolare al pozzo. Per la prima volta ha mosso accuse contro il genero e la figlia.
Il marito, apparentemente svanito nel nulla senza che nessuno lo cercasse e poi trovato in fondo al pozzo, sarebbe morto di morte naturale tra le sue braccia lo scorso 8 marzo.
Nessuno gli avrebbe fatto del male, ma i tre restano indagati anche per omicidio. "Mi sono levata un peso. Non posso parlare, non dico niente, le cose poi salteranno fuori a suo tempo. Non riuscivo a dormire la notte, avevo i sensi di colpa", ha detto all'inviata de La vita in diretta. La vedova, che attualmente abita in un immobile di sua proprietà a Toano ed è sottoposta all'obbligo di dimora e di firma, vorrebbe tornare a vivere nel casolare dove ha tanti ricordi.
Figlia e genero: 'Siamo innocenti'
La figlia Silvia e il genero Riccardo, arrestati come la signora Marta a inizio indagine, avevano trascorso quattro giorni in carcere. Ora si trovano vicino Mantova dove hanno l'obbligo di firma.
Dormono nell'auto diventata la loro casa. Non hanno entrate, così come non le avrebbero avute quando Giuseppe Pedrazzini risultava scomparso: all'epoca nessuno dei due lavorava.
Le accuse della mamma di Silvia li hanno colti alla sprovvista. A distanza, replicano dichiarandosi innocenti. Il genero ha detto categorico: "Ognuno pagherà per quello che dice". Da un pc di casa, a Cerrè Marabino, era stata inviata agli inquirenti una mail a firma di Beppe che forse il computer neanche lo sapeva usare, il giorno prima del ritrovamento del corpo. Il presunto Beppe chiedeva di non essere cercato. Chi l'ha mandata? La vedova non ha familiarità con i mezzi tecnologici.
Dal pozzo affiora un movente economico
La bramosia di soldi fornirebbe la spiegazione prevalente al giallo del pozzo di Toano. Genero e figlia non lavoravano, volevano vendere gli attrezzi agricoli di Pedrazzini, come poi hanno fatto, e il 12 marzo Silvia aveva pubblicato un annuncio per la vendita di un terreno. Agli inquirenti, l'unica figlia del pensionato ha raccontato che il padre se ne sarebbe andato volontariamente salendo su un'auto. Di denaro ha parlato Riccardo Guida il giorno stesso della scarcerazione. Dal peso che ora gli inquirenti daranno alle inattese dichiarazioni di Marta Ghilardini e dai risultati dell’autopsia dipenderanno eventuali rimodulazioni delle misure cautelari adottate.