Lavender, diretto dal regista Ed Gass-Donnelly e presentato al 34° Torino Film Festival nella sezione "After Hours", altra categoria interessante dopo "Festa Mobile", nella quale erano stati inseriti Sully e A Quiet Passion, racconta la storia di Jane (Abbie Cornish), appassionata fotografa con la fissazione per gli scatti di case abbandonate. La ragazza è sposata con Alan (Diego Klattenhoff), ha una figlia di nome Alice (Lola Flanery), e un giorno rischia di morire a causa di un rocambolesco incidente d'auto. Fortunatamente si salva, riportando comunque una parziale perdita di memoria.
Lo psicologo che l'ha in cura, quindi, le consiglia di prendersi un periodo di riposo tornando a soggiornare nella vecchia abitazione dove è cresciuta, convinto che accanto alle cose di quando era bambina, possa recuperare più in fretta i suoi ricordi, quelli più recenti e soprattutto quelli più lontani nel tempo, che per paura la giovane donna ha volontariamente rimosso. In questo strano ed enigmatico viaggio, Jane conoscerà, o per meglio dire, ritroverà lo zio Patrick (Dermot Mulroney), forse l'unica chiave per aprire il cofanetto del suo traumatico passato.
Festival del Cinema di Torino 2016 - Recensione di Lavender
Lavender è innanzitutto una pellicola ricca di citazioni del genere thriller e horror insieme, rimembrando sia Shining di Kubrick, per i movimenti di macchina, sia Profondo Rosso di Argento, per l'ossessiva filastrocca della lavanda verde.
Proseguendo lo studio critico sull'opera, scelta per essere proiettata durante la 34esima edizione del Festival del Cinema di Torino, nella quale ha primeggiato il film cinese The Donor, sono presenti il rallenty dell'incidente automobilistico di Jane, la quale inizia ad essere perseguitata dall'entità di una ragazzina bionda, che scopriremo essere lei, l'altra se stessa ferma a 20 anni prima, reduce dalla terribile perdita dei genitori e della sorella.
A seguire, compare un fermo-immagine di un fatto di sangue avvenuto nel 1985, con poliziotti come imbalsamati nelle loro divise e attività, e con una figura femminile in pigiama, Jane adolescente, che, rannicchiata in un angolo, tiene in mano un rasoio.
L'aspetto singolare è che per quasi tutto il film, il regista ci fa credere che la colpevole della morte della sua famiglia sia Jane, per poi capovolgere tutto verso il finale, con il ritorno della memoria della fotografa e con la conseguente soluzione del caso, cioè quella dell'esistenza di un mostro non soprannaturale, ma reale e insospettabile, uno di cui ci si dovrebbe fidare senza riserve.
In Lavender, anche la colonna sonora gioca un ruolo importante, di tensione emotiva crescente, con rumori, suoni profondi, sordi, tonfi angoscianti che a livello interiore accompagnano Jane verso la verità, come dolorosi pugni nello stomaco capaci di lasciarti senza fiato.
Infine, convincente è pure la corsa spasmodica della fotografa nel labirinto costruito con le balle di fieno, dove la giovane insegue un uomo che si rivelerà essere suo padre, o più propriamente, il ricordo vivido di suo padre, vittima innocente e inconsapevole delle turbe psichiche del fratello pedofilo. Nonostante la trama sia un deja vù di altre storie narrate in altrettanti lavori filmici, Lavender regge bene l'ora e mezza di proiezione.
Voto: 6/7