Napoli 1959. Tre persone parlano tra loro. Al centro, una delle due donne, tiene il plastico illuminato di una grande palazzina. È l'unica fonte di luce. A sentire la discussione, sembra la grande occasione di vita: una coppia incontra un'agente immobiliare che sostiene che: «comprare una casa è un grande investimento», e c'è anche chi darebbe una mano per poterla avere. Hanno solo un giorno di tempo per decidere, sono tante le richieste per quell'appartamento, sito in Via Miracolo a Milano, 43. La voce di Mina intona “Il cielo in una stanza” e, uno alla volta, gli attori della compagnia Punta Corsara, entrano in scena.

Lo spettacolo “Il cielo in una stanza” – andato in scena domenica scorsa al Teatro Morelli di Cosenza - ha inaugurato il nuovo anno del Progetto More, la promossa e diretta da Scena Verticale in collaborazione con il Comune di Cosenza, la Regione Calabria e il MiBACT.

La luce che – adesso – illumina il resto del palco, mostra una scenografia che era in attesa e solo messa in ombra. Ci troviamo già negli anni '90. Trent'anni dopo da quel lusso in scala, ritroviamo macerie, polvere e rovine. Scale, porte e finestre, si incastrano e spostano nella maniera più funzionale, come in un'incisione di Escher . Con il crollo, la palazzina è diventata un girone dantesco: «Lasciate ogni speranza, oh voi che entrate», incalza Alfredo Cafiero all'avvocato Castellani, recatosi sul posto per far firmare ai condomini l'accordo con l'impresa edile che aveva costruito l'edificio.

I restanti personaggi, arrivano da ogni parte della scena: Vincenzo Spadaro, che truffa la gente con incidenti falsi; Lucia Spadaro, madre di quest'ultimo; Carmela Amedeo, incontrata ad apertura sipario e Alce Nero, amante delle colombe e degli indiani d'America. Arriva anche “O sotterrato”, rimasto sotto le macerie dal crollo di dieci anni prima che comunica con il resto del gruppo da un water.

Con quel terremoto, molto più di quattro pareti è andato perso: il corpo della figlia di Alfredo giace sepolto lì, da qualche parte. Nella scelta di accordarsi o meno, Alce Nero si mostra sfavorevole e decide di sequestrare l'avvocato al fine di compierne un sacrificio. Alfredo alla difesa, Alce Nero all'accusa, il processo mette in causa l'avvocato in persona, figlio dello stesso appaltatore che, trent'anni prima, aveva costruito la struttura con materiale edile scadente, un misto di sabbia e cemento.

Il voto dello spirito di Ceraseno è decisivo sulla sentenza di morte dell'avvocato, su cui pendono colpe ataviche. In un finale aperto, al pubblico la scelta di decidere – affidandosi ognuno alla propria coscienza – su quale nome mettere la X.

Il testo

Scritto da Armando Pirozzi e Emanuele Valenti (che lo interpreta e ne è regista), questa pièce è un percorso di trent'anni della storia d'Italia: si parte dal '59, passando alla nevicata del 1956, fino agli anni 90; si tocca il '55 in Svizzera e gli anni dell'emigrazione. La drammaturgia, si affida tanto al piano del reale, quanto a quello della fantasia. Si entra in contatto con il mondo dei morti per avere un voto decisivo e, in scena, la possessione degli interpreti avviene con un fascio di luce rossa, attraverso una mano – quella incriminata di Ceraseno – custodita in una teca.

È una storia tragica, in cui la comicità è al servizio del dramma. Una rappresentazione a struttura ciclica, che parte da quel giorno del 1959 e lì ritorna, all'atto della firma del grande acquisto. Nel frattempo, la storia d'Italia dei successivi trent'anni: con flashback proposti non in ordine conseguenziale, ma casuale e in forma onirica. È qui che si svela, in punta di piedi, la tragedia che ha coinvolto queste famiglie.

La struttura

Al centro, un armadio, è un portale dei diversi salti temporali della storia. Le scene parallele racchiudono gli snodi drammaturgici. Ci sarà il conte “dracula” Romolo Castellani in riunione con un ingegnere napoletano. È il 9 febbraio 1956, anno della grande nevicata su Napoli e giorno della nascita del suo primo figlio.

Arriverà il 1955, con Ceraseno Amedeo e l'incontro con il responsabile ufficio emigrazione per quella mano “persa” al lavoro, per poi tornare alla scena iniziale, in cui la coppia, trovati i soldi, decide di firmare le carte e comprare l'appartamento.

Sono gli anni del miracolo economico, quelli del boom e della speculazione che ne consegue. L'illegalità non risiedeva solo nell'uso improprio dei materiali da costruzione, ma, anche, nell'abusivismo edilizio di sovrastrutture che “abbellivano” le case (nello spettacolo: la grande piscina costruita in terazza, la serra sul ballatoio, i posti auto sotterranei).

«Una casa come si deve», si ripete in scena; in quel “Miracolo a Milano” di stampo zavattiano, dove i figli si trovano sotto ai cavoli e si vola con le scope sopra la città.

Sono gli anni di Achille Lauro e del sacco edilizio di Napoli, spogliati – qui – dalla mera cronaca e rappresentati in maniera più poetica. Sono gli anni della fuga in Svizzera in cerca di lavoro e delle frodi assicurative.

Non è un singolo atto d'accusa, ma un'inchiesta ad ampio raggio, che tocca tanti casi irrisolti provocati dalla corruzione. Vestita da commedia, la tragedia diventa più diretta e incisiva, provocando il riso dove il tagliarsi la mano garantisce un tetto sopra la testa. La stanza - che qui non ha più pareti - non lega col testo di Gino Paoli. Non c'è l'amore che abbatte gli ostacoli, ma solo escrementi fosforescenti di colombe che insozzano tutto e non vanno più via.

IL CIELO IN UNA STANZA

di Armando Pirozzi e Emanuele Valenti

Regia Emanuele Valenti

Con Giuseppina Cervizzi, Christian Giroso, Sergio Longobardi, Valeria Pollice, Emanuele Valenti, Gianni Vastarella

Voce registrata “Il sotterrato” Peppe Papa

Disegno luci Giuseppe Di Lorenzo

Scene Tiziano Fario

Costumi Daniela Salernitano

Organizzazione e collaborazione artistica Marina Dammacco

Assistente costumista Nunzia Russo

Macchinista Walter Frediani

Datore luci Giuseppe di Lorenzo

Sarta Nunzia Russo

Produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, 369gradi