'Io vedo i rapper di oggi come i wrestler, ti dico la verità. Tinti, finti, e soprattutto di moda, sono proprio come gli eroi del wrestling. Sinceramente non so quanti di loro riusciranno a durare nel tempo.' Non sono esattamente parole di elogio quelle spese da Emis Killa in riferimento alle nuove generazioni del rap italiano – che tuttavia l'artista di Vimircate ha voluto definire come 'miei figli e nipoti' – durante una recente video-intervista concessa a Netflix in occasione del lancio del documentario 'Rapture', da qualche giorno disponibile sulla nota piattaforma.
Emis Killa e le differenze con le nuove generazioni
Emis Killa nel corso della chiacchierata si è lungamente soffermato a parlare delle nuove generazioni, cosa che negli ultimi due anni ha già fatto numerose volte, tanto nei testi dei suoi brani – emblematico in tal senso il testo della traccia 'Vestiti Sporchi', probabilmente una delle più intense e sentite del suo ultimo album ufficiale 'Terza Stagione' – quanto nelle interviste e nelle dichiarazioni spontanee pubblicate sui social. L'autore di 'Keta Music' ha voluto smentire il luogo comune secondo il quale i rapper italiani, soprattutto quelli di nuova generazione, si siano formati ascoltando tanto e rap americano e quasi per niente quello italiano.
Successivamente l'artista milanese ha contestato un'abitudine ormai molto comune tra le nuove leve, ovvero quella di auto-definirsi 'trap ma non rap', sottolineando come una frase del genere sia priva – secondo la sua opinione, che coincide perfettamente con quella della stragrande maggioranza degli addetti ai lavori – di qualsivoglia significato, queste le sue parole:
'Nel rap c'è chi è arrivato prima di me ovviamente, gente da cui ho imparato e da cui ho attinto molto.
Però, se ora come ora dovessi fare un bilancio, direi sicuramente che nel rap ho pochi padri ma molti figli. Adesso tra i membri della nuova scuola va molto di moda dire frasi del tipo 'Io non ascolto rap italiano, ascolto solo quello americano'.
Non è vero, perché io i nuovi rapper me li ricordo benissimo da quando erano ragazzini, mi rompevano i co*****i per venire con me al Muretto (luogo fondamentale per la storia e l'evoluzione del rap milanese, ndr) a fare freestyle, mi copiavano, o meglio ci provavano a rappare come me, ma non ci riuscivano.
In realtà non è tutto vero quello che si sento in giro. Se parliamo d tutti i miei 'nipoti', ovvero i figli artistici dei miei figli artistici, che stanno emulando quelli che sono venuti dopo di me, beh ragazzi, siamo messi veramente male. [...] Dire che fai trap e non fai rap non vuol dire nulla, è come dire che non ti droghi ma fumi il crack'.