L’Expo si è tenuta dal 4 al 6 maggio, a Roma, ed è stata un successo. All’interno dell’expo si ha avuto occasione di vedere come lavora un tatuatore professionista: tatuare è considerata un’arte, poiché richiede parecchia precisione, tecnica e stile. Il tatuatore procede infatti come un pittore, usando la pelle come tela. Ognuno sviluppa un proprio stile e si specializza in determinate tecniche: ad esempio c’è chi predilige i soggetti in bianco e nero, chi invece i colorati, oppure chi si specializza nello stile mandala e chi in quello maori, chi nei ritratti e così via.

La parola dei tatuatori: moda ed arte

Sono stati intervistati alcuni tatuatori e uno di loro parla della Moda di tatuarsi. Essendo diventata appunto una moda, la richiesta si è alzata parecchio, quindi adesso chiunque può diventare tatuatore e l’intervistato ritiene che questo sia un peccato, perché “si perde quello storico scambio di ricerca e opinioni che c’era prima”. Infatti in epoca odierna i corsi per diventare tatuatori sono aumentati e c’è inoltre più superficialità nello scegliere i soggetti da tatuarsi e meno professionalità in campo lavorativo.

Un altro tatuatore ritiene che sia importante farsi tatuare da un professionista: un esperto lo si riconosce dalle norme igieniche, dai materiali e dal rapporto che ha col cliente.

Il tatuaggio è un segno indelebile, pertanto il lavoro deve essere fatto con assoluta precisione e professionalità, è un’opera d’arte che resta a vita sulla pelle.

Pregiudizi e curiosità

La storia del tatuaggio è lunga e curiosa: il più antico risale alla mummia di Otzi che presenta dei veri e propri tatuaggi. Gli storici ipotizzano che si tratti di segni a scopo terapeutico.

Anche nell’antico Egitto il tatuaggio era prassi, poiché sulle tombe funerarie si vedono chiaramente delle danzatrici tatuate, così come nelle popolazioni indigene delle isole del Centro e del Sud Pacifico: quando le ragazze raggiungevano la maturità sessuale le loro natiche venivano tatuate di nero, mentre in caso di sofferenza si tatuavano tre punti sulla lingua.

I romani invece prediligevano la purezza del corpo, quindi vietarono i tatuaggi: il tattoo era usato per marchiare criminali e condannati.

I crociati invece si tatuavano la croce di Gerusalemme sul corpo, in modo tale da essere riconosciuti come cristiani ed essere sepolti secondo il rituale cattolico in caso di morte.

In Giappone il tatuaggio era diffuso dal V sec a scopo estetico. Vigeva una legge duramente repressiva che vietava l’uso di kimoni decorati ai ceti medio-poveri, dunque gli esponenti di queste classi sociali meno abbienti usavano decorare il proprio corpo con tatuaggi enormi, in segno di ribellione.

Nei primi anni del ‘900 il tattoo diviene marchio di minoranze etniche: veterani, marinai, carcerati ecc, quindi fu additato come simbolo di disordine mentale. Negli anni ’70 e ’80 i movimenti punk usavano il tattoo come segno di ribellione e disprezzo verso i precetti morali della società.