È nelle sale da ieri - e per pochi giorni - un evento speciale al cinema: "L'architetto della luce", il docufilm scritto e diretto dal regista spagnolo Carlos Saura su come una nostra eccellenza, l'architetto genovese Renzo Piano, abbia progettato e realizzato il centro culturale "Botin" di Santander in Cantabria. In realtà il docufilm che alterna interviste a Piano, alle varie fasi della realizzazione dell'opera, ed alla partecipazione attiva che l'autonomia spagnola ed i suoi cittadini pongono in essere, è un vero e proprio manifesto di come l'archistar intenda il suo lavoro.

A Santader c'è uno spazio sul luongomare che è vuoto - sorta di darsena senza approcci - che cela al di sotto un parcheggio.

La Fondazione "Botin" intende nel 2010 in sinergia con l'ente locale realizzare un centro culturale aperto a tutta la città, ma anche al mondo globalizzato. Si incarica Piano che dopo essere stato nella città della Spagna settentrionale ed averne ammirato il Paseo, comprende che gli edifici che saranno oggetto dell'Auditorium e del ristorante dovranno elevarsi come le ali di un falco pellegrino lasciando dal parco antistante la vista del mare e dei monti a chi passeggi lì sotto o che passi all'interno.

A cosa serve l'Architettura?

Mentre spiega idea, disegni, variazioni in corso, test su prototipi o su materiali-prototipi l'architetto ci svela la sua idea del suo lavoro ed anche la sua essenza.

"L'architettura è come entrare in una stanza buia e non avere paura, ma abituarsi lentamente ai contorni di ciò che si può intuire nell'ombra: è l'arte della pazienza".

Non solo tecnica costruttiva o progetto, ma anche e soprattutto capacità di far durare un manufatto integrando anche un aspetto poetico utile. Ricorda Piano il suo periodo francese, quando anche Italo Calvino dava alle stampe "Le città invisibili", di come l'immaginazione sia carburante prezioso per chi costruisce qualcosa che abbia le caratteristiche di un utilizzo il quanto possibile pubblico.

Anzi di più: di come un edificio possa fare scaturire incontri e quindi comunità.

Avverte Piano il dato che anche il suo mestiere - l'architettura - abbia gli anni contati, ma non deroga da un teleologia del costruire: la bellezza salverà il mondo. Magari solo un individuo alla volta, ma senza questo fine verrebbe anche a mancare un altro obiettivo umanistico della proprio mestiere. Quello di costruire utopie reali e concrete che diano spazio ancora a quello che Geno Pampaloni chiamava il "noi tutti".