Luca Argentero, sul palco del Teatro Sociale di Rovigo lo scorso 15 dicembre, non ha nascosto l'emozione all'inizio del suo spettacolo "È questa la vita che sognavo da bambino?", un assolo del quale è autore insieme a Edoardo Leo (che cura anche la regia) e a Gianni Corsi, e in cui racconta le storie straordinarie di tre atleti, del Ciclismo, dell'Alpinismo e dello Sci. Si tratta di Luigi Malabrocca, che ha corso sul pedale nelle gare in cui concorreva l'amico e campione Fausto Coppi partecipando, però, per perdere ed aggiudicarsi l'anti-trofeo della "Maglia Nera"; dello scalatore del K2, giornalista e scrittore Walter Bonatti e di Alberto Tomba, campione di Sci solare e spontaneo fino all'eccesso.
Tutti e tre i personaggi rappresentano i volti di un' "italianità" che scorre ancora nel Belpaese ma verso la quale ci si può voltare per ritrovare frammenti di identità, anche storiche, e per rilanciare esempi di vita "umani troppo umani" e allo stesso tempo mitici. Argentero, prima del decollo narrativo, ha ammesso di sentirsi di fronte alla grande impresa del palcoscenico, secondo lo "statuto" della trepidazione prima della scena, ma è così che ha strappato il primo convinto applauso del pubblico di Rovigo.
L'impossibile e l'errore si agganciano
"E' questa la vita che sognavo da bambino?" parla, naturalmente, di aspirazioni e visionarietà, di volontà caparbie, di corse verso obiettivi che sfidano l'impossibile e affrontano l'errore.
"L'errore non esiste finchè non l'hai compiuto e nel dubbio se fare una cosa, io la faccio", puntualizza Argentero. L'impossibile si veste di sogno e di coraggio frantumandosi nelle cadute, riprese, nei pregi e difetti, verità e falsità, fischi e riconoscimenti. Così Luisin Malabrocca, nato a Tortona nel 1920, da ragazzo percorreva centinaia di chilometri in bicicletta per arrivare al mare e assaggiarne l'acqua verificando che fosse salata.
Quasi un gioco, come l'essere il perfetto perdente del Giro D'Italia, il titolare della "Maglia Nera" che implicava anche l'assegnazione dei premi di consolazione, denaro e derrate alimentari, preziosi nell'Italia che usciva dal secondo conflitto mondiale. Walter Bonatti, classe 1930, è invece, il cittadino della montagna che ha portato avanti i limiti dell'alpinismo fino ad allora praticati, come nella conquista della parete del "Grand Capucin" sul Monte Bianco.
Tra le cime cerca se stesso, libertà, fede. Bergamasco, a 24 anni partecipa con Ardito Desio, Achille Compagnoni, Lino Lacedelli, alla missione per la scalata del K2. Per un inganno di Compagnoni che voleva impedirgli di arrivare primo sulla cima rischierà la vita fra i ghiacci insieme ad Amir Mahdi che subirà l'amputazione di alcune dita a causa dell'assideramento. Soltanto nel 2004, dopo cinquant'anni, il Cai definirà il "Caso K2" rendendo giustizia a Bonatti ed alla sua azione decisiva per il raggiungimento della vetta. Alberto Tomba, è stato, invece, la "bomba". Bolognese, nato nel 1966, con il suo carattere estroverso ha innovato lo stile taciturno ed austero dei campioni di Sci che lo hanno preceduto e nella sua strepitosa carriera, condotta dal 1986 al 1998, ha vinto cinquanta gare di Coppa del Mondo, una Coppa del Mondo assoluta, quattro Coppe del Mondo di Slalom Speciale e quattro di Slalom Gigante.
Eppure anche Tomba è l'eroe della "seconda manche" e spesso ottiene il risultato migliore ed imprevedibile nella seconda opportunità della competizione sportiva.
Argentero e le vite geniali
Luca Argentero è reduce dal recentissimo successo cinematografico ottenuto come protagonista di "Io Leonardo", pellicola del regista messicano Jesus Garces Lambert realizzata con il patrocinio del Comitato Nazionale per le Celebrazioni dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci. Pare che il confronto con ciò che porta il segno dell'eccezionalità e genialità si addica a questa fase della vita artistica dell'attore torinese. Argentero evita le enfatizzazioni drammatiche e nella sua interpretazione teatrale sembra piuttosto cercare e restituire lo stupore creativo nella circuitazione dialogante delle idee, valori, azioni che impregnano il suo racconto sul palcoscenico.
In questo modo raggiunge il pubblico che pare comprendere ed approvare. Come si direbbe ad un bambino che alla fine supera la paura di uno scivolo pericoloso e al quale si dice: "Bravo!". Come è accaduto a Rovigo con gli scrosci prolungati degli applausi finali.