E' iniziata il 6 dicembre la manifestazione dedicata alla Sinistra cinematografica italiana che ripercorre 40 anni di storia, dal 1950 al 1990, una parabola magmatica alla quale il Cinema, la settima arte del Novecento, ha fatto da riflesso con la forza del racconto, della critica, del disincanto e del dramma. L'iniziativa è articolata in due momenti: la prima parte, dal 6 al 9 dicembre, alla Casa del Cinema di Roma dove saranno proiettati e commentati titoli che sono punti di svolta nel coacervo delle espressioni intellettuali ed artistiche del periodo, opere rappresentative per antonomasia del repertorio filmico italiano, con sigle di regia che vanno da Pietro Germi, Elio Petri, Francesco Rosi, Pier Paolo Pasolini, i fratelli Taviani fino a Giuliano Montaldo, Marco Bellocchio, Gianni Amelio, Nanni Moretti.

Il segmento successivo avrà luogo dal 10 all'11 dicembre all'Università Roma Tre in un intento multidisciplinare d'incontro fra cineasti, studiosi, archivisti, per ricordare, discutere e rilanciare il grande strumento del Cinema come esplorazione del reale, visionarietà, fascio di luce che consegna nelle sue forme più alte ipotesi interpretative e creative senza esaurire possibilità di continua decifrazione.

L'obiettivo della cinematizzazione

Gli organizzatori degli incontri sono Aamod, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, insieme a Fondazione Gramsci e fra i principali ideatori e curatori del progetto ci sono Paola Scarnati e Vincenzo Vita. Marco Maria Gazzano, docente universitario teorico dell'arte cinematografica e della comunicazione audiovisiva, che è fra i relatori ai convegni di Roma Tre, pone come architrave di pensiero per un Cinema "politico", la dimensione culturale della "cinematizzazione", mutuata dalla speculazione russa sul cinema, che non riguarda, peraltro, solo il film narrativo ma l'intero mondo delle immagini in movimento, video e televisione.

"Si tratta - ha precisato Gazzano in occasione della presentazione degli Annali Aamod "Le lotte e l'utopia 1968-1970 - dell'individuazione di una competenza sui linguaggi, dell'interpretazione delle immagini e dei suoni che prevede un'alfabetizzazione di massa. L'educazione ai linguaggi audiovisivi indirizzata verso la gente comune è necessaria alla politica del ventunesimo secolo ed è piuttosto grave che l'attuale Sinistra si sia discostata da quest'attenzione.

Alfabetizzare la conoscenza dell'audiovisivo è un'esigenza etica, un aiuto per la comprensione della complessità delle situazioni che si hanno di fronte nella realtà": Apprendere il linguaggio del Cinema, creare spettatori competenti, fornisce, dunque, mezzi, sia di fruizione sia ricettivi, per sondare l'obiettività dei fatti e le angolazioni del vero.

Alcuni grandi esempi della parabola 1950-1990

Il film che ha aperto il 6 dicembre la rassegna è "Il cammino della speranza" di Pietro Germi (1950), grande epopea di un gruppo di emigranti del Sud in cerca di lavoro in Francia, truffati da un faccendiere che avrebbe dovuto far loro da guida durante il viaggio. Indimenticabile l'attore protagonista Raf Vallone e restano fortemente iconici i primi piani sui personaggi, sospesi, smarriti, eppure uncinati alla sopravvivenza da afferrare contro ogni ostacolo. Alla fine è il sorriso di un bambino a commuovere gli agenti alla frontiera che consentiranno il lasciapassare. Il 7 dicembre è la volta di Marco Bellocchio con "I pugni in tasca", esordio nella regia di un lungometraggio del 1965, un film "manifesto" ritenuto anticipatore della contestazione Sessantottina, "noir" che pone simbolicamente sotto attacco la famiglia, il perbenismo, i buoni sentimenti, giungendo al compimento del matricidio come atto sovversivo contro l'apparato delle convenzioni morali, sociali, borghesi.

Sarà proiettato anche "Porcile" di Pier Paolo Pasolini del 1969.

Nel calendario dell'8 dicembre sono previsti "Allonsanfan" di Paolo e Vittorio Taviani, del 1974, sull'antieroismo disincantato che ha il volto di Marcello Mastroianni nell'Europa della Restaurazione dopo il Congresso di Vienna del 1815. Non è un film storico ma un viaggio onirico nella nebulosa delle direttrici di senso della storia, soprattutto una rifrazione simbolica della restaurazione dopo il movimenti di liberazione degli anni Sessanta. Seguono "Sogni D'Oro" di Nanni Moretti (1981),dramma comico-nevrotico, ultimo tassello della trilogia iniziata con "Io sono un autarchico" ed "Ecce Bombo", e "Todo Modo", diretto nel 1976 da Elio Petri, tratto dall'omonimo romanzo di Sciascia, ascrivibile al cinema politico italiano degli anni Settanta con Gian Maria Volontè che impersona un politico corrotto del partito della Democrazia Cristiana.

Uno spazio a parte il Collettivo Femminista delle Donne

Il 9 dicembre si rivolgerà uno speciale augurio al regista Citto Maselli che compie 91 anni con la proiezione del suo thriller "Il sospetto" del 1975. Nel pomeriggio e serata è prevista la visione di "Cadaveri Eccellenti" di Francesco Rosi (1976), "Colpire al cuore" di Gianni Amelio (1982), per culminare con "Senso" di Luchino Visconti (1954). La mattinata si apre, invece, con una perla del genere documentaristico militante "La lotta non è finita" di Annamaria Miscuglio del 1973, prodotto dal Collettivo Femminista di Cinema. Le riprese mostrano un 8 marzo a Campo Dei Fiori a Roma con le attiviste che raggiungono le donne al mercato per trovare un minimo comun denominatore dell'oppressione data, fondamentalmente, dalla divisione dei compiti in base al sesso: il lavoro esterno all'uomo e quello domestico alla donna.

Le femministe di allora coltivavano un'idea portante ritenendola "il fatto nuovo", ossia che non potesse esserci differenza fra chi era fuori dal movimento e la parte attiva della militanza. Per questa ragione respingevano nettamente la loro organizzazione in strutture, verticismi, rappresentanze dirigenziali. Il documentario mostra anche una carica della Polizia dopo che il megafono era stato preso da una bambina, ma ciò che intende trasmettere, essenzialmente, è un desiderio di autoespressione creativa al femminile. Le donne appaiono, infatti, su un palcoscenico asserendo: "voglio essere libera di esprimere, non solo di protestare". Una protagonista di quegli anni è stata la regista Silvana Silvestri che ha avuto modo di sottolineare quanto quell'esperienza sia rimasta relegata ai margini del dissenso, ma che la sua importanza è tale da meritare "l'elogio della marginalità".