Se gli attaccanti sono un pezzo solido della storia biancoazzurra, i fantasisti sono invece la croce e delizia del tifoso laziale.

Felipe Anderson sembra appartenere a tale categoria di calciatori. Gran tocco di palla, intuizione, classe cristallina. Irresistibile quando è in giornata e per ciò insopportabile quando non lo è. Un estro e una incostanza che lo fanno accostare ad un altro fantasista della storia laziale: Vincenzo D’Amico. Per i più giovani D’amico è un serio e composto commentatore televisivo, per i laziali resterà sempre la mascotte dello scudetto, il ragazzino del vivaio che arriva in prima squadra e si conquista il posto da titolare (27 partite e un goal) giusto in tempo per entrare nella storia.

Genio e svogliatezza, sembra essere il binomio di Vincenzino già nelle sue prime apparizioni in serie A. Per completare il quadro si aggiungeva un’aria un po’ sorniona che riuscì a mandare fuori dalle staffe (cosa non difficile) Giorgio Chinaglia.

Calciatori e calci

Era il 17 marzo del 1974 e la Lazio prima in classifica affrontava l’Inter. La partita si mise subito male e il risultato finale fu di 3-1 in favore dei padroni di casa. Durante il secondo tempo, avviene l’episodio eclatante, ricostruito da Stefano Greco che raccoglie la testimonianza di Mazzola: ‘Sotto la tribuna tolsi il pallone dai piedi di D’Amico, mi trovai davanti Chinaglia e lo beffai con un tunnel. Lui cosa fece? Tirò un calcio nel sedere al compagno di squadra D’Amico, quasi a voler trovare un colpevole per quella brutta figura che gli avevo fatto fare proprio sotto gli occhi dei tifosi della tribuna’.

Alla scena assistono i circa settantamila spettatori presenti e il calcio di Chinaglia diventa subito leggenda, in qualche misura si stampa nell’identità culturale del tifoso laziale. D’Amico, salvo una breve parentesi a Torino e un finale di carriera nelle serie minori, ha legato la sua carriera alla maglia biancoceleste nella buona e nella cattiva sorte, accettando anche di scendere in serie B.

I tifosi nel complesso gli hanno voluto quel bene speciale che i genitori riservano ai figli un po’ svogliati, quelli di cui gli insegnanti ai colloqui dicono: ‘è intelligente ma non si applica’. Son quelli che prendono la sufficienza perché comunque, anche se i libri li aprono poco, il talento lo hanno e all’ultima interrogazione si salvano sempre.

Per D’Amico l’interrogazione che lo salvò ha il nome di Lazio-Varese 3-2, partita in cui con una tripletta consentì alla Lazio di restare in serie B.

La sindrome D'Amico

Così Felipe Anderson sembra risvegliare in parte del tifo laziale la ‘sindrome D’Amico’, adorazione per il talento e frustrazione per vederlo a volte, irrazionalmente, svogliato e sfasato senza motivo, come se affrontare, ad esempio, la Juventus fosse una delle cose più noiose che quel giorno potessero capitargli.

Così i tifosi non fanno in tempo ad innamorarsi del talento puro che ha preso la squadra per mano contro lo Steaua Bucarest conducendola al passaggio di turno che un attimo dopo si spenge senza un apparente motivo.

Sono quelli i giorni in cui il tifoso laziale pensa con nostalgia a Chinaglia e a quel calcio nel sedere a D’Amico.