Leggendo i dati dei siti dedicati, apprendiamo, se ce ne fosse stato bisogno, che la crisi degli ultimi anni ha allargato il divario Nord-Sud.Apprendiamo anche che tra il 2007 e il 2012 nel Mezzogiorno il Pil si è ridotto del 10% in termini reali a fronte di una flessione del 5,7% registrata nel Centro-Nord.

Nel 2007 il Pil italiano era pari a 1.680 miliardi di euro, cinque anni dopo si era ridotto a 1.567 miliardi, facendoci perdere 113 miliardi di euro, molto più dell'intero Pil dell'Ungheria, un Paese di quasi 9 milioni d'abitanti. Se questo stato di cose è imputabile alla crisi è molto probabile che, dato il perdurare delle condizioni, nel 2014 questa perdita sia stata anche maggiore.

Sappiamo inoltre che dei 113 miliardi persi, 72 sono del Centro-Nord e 41 miliardi (pari al 36%) del Sud. Ma la recessione attuale è solo l'ultimo tassello di una serie di criticità che si sono stratificate nel tempo.

La critica è che negli ultimi decenni il Pil pro-capite meridionale è rimasto in modo stabile intorno al 57% rispetto al Centro-Nord, testimoniando l'inefficacia delle politiche di sostegno allo sviluppo messe in atto, che non hanno saputo garantire maggiore occupazione, nuova imprenditorialità, migliore coesione sociale, modernizzazione dell'offerta dei servizi pubblici. Il problema non è correttamente inquadrato se non si fa accenno anche al fatto che la crisi peggiora il raggiungimento di un livello di dialogo istituzionale di rete e con i cittadini accettabile e questo fatto aggrava ulteriormente il quadro economico e sociale.

Come un cane che si morde la coda. Tutto ciò influisce anche in modo determinante sulle politiche di genere. Rendendo vane fino ad oggi, ogni azione o pensiero rivolto ad esse.

Eppure sappiamo che lo sviluppo del lavoro femminile potrebbe incrementare di almeno 2 punti percentuali il Pil nazionale.

Allargando lo sguardo e a ben guardare, le politiche di genere in Europa sono ferme.

Se scorriamo il sito dell'Unione Europea possiamo notare che la governance ha fatto molto, in tutti i settori, anche di nicchia. Leggiamo di politiche per l'ambiente come di politiche per favorire la ricerca scientifica e incentivare i giovani verso la strada della scienza e specializzazione; leggiamo di politiche per l'alimentare o l'edilizia, per l'ambiente o le tecnologie; per la pace nel mondo o per incidere in paesi poco democratici, ecc...

Ma se leggiamo tutte le notizie, i lanci di agenzia, le azioni ed i sostegni economici notiamo una cosa interessantissima: la parola "donna" non appare, mai o quasi mai.

Complesso fare una statistica tra le migliaia di documenti pubblicati, ma approssimativamente è facile, invece, constatare che negli scritti, la parola "donna", è segnata, su milioni di pagine, sì e no, nemmeno 10 volte, orientativamente potremmo impostarla come un rapporto di ogni 1000 parole, 10 contengono la parola "donna", 100 la parola "femminile" e 300 la parola "genere". Un caso assai strano.

L'Europa è democratica, si sa, per costituzione. Di politiche al femminile ne ha fatte tantissime, si è spesa per il genere femminile in modo determinate.

Eppure tutte queste politiche vengono definite di "gender" e " al femminile", per l'appunto, il 99% delle volte, senza mai nominare la parola "donna". Il problema attrae ancora più attenzione se notiamo che le azioni concrete per le donne sono ferme al 2010. Oltre questa data troviamo uno studio del 2012 del Parlamento Europeo e non della Commissione, aggiornato al 2014 per alcune linee, e comunque non completo e corposo come fu nel 2012. E poi troviamo tantissimi studi settoriali ed esortazioni del Parlamento Europeo, ai paesi in indirizzo, per favorire le pari opportunità tra maschi e femmine ma risalgono al 2010, non oltre.

Tra gli studi settoriali, c'è pure uno studio sulla condizione della donna in Italia, questo risale al marzo 2014, ed è pure interessante ma rigorosamente in inglese.

Questi studi sono stati tutti commissionati dal Direttorato Generale per le politiche interne, Dipartimento di politica, del Parlamento Europeo, l'unico a far uso della parola donna un po' più spesso, nei propri documenti. Certo bisognerebbe conoscere bene la suddivisione dei ruoli delle politiche all'interno del Parlamento Europeo, come bisognerebbe anche capire le priorità di alcune politiche rispetto ad altre. Eppure possiamo affermare che una vera e propria Commissione per la condizione della donna nel mondo e nell'Unione Europea, non esiste.

Della donna se ne parla, per carità, si attuano azioni per favorirne l'emancipazione, per consentirne la parità culturale, si fanno studi olistici e psico-sociaologici, ma nulla riesce ad essere veramente determinante.