Nell'Italia alle prese con una crisi che sembra non finire mai, diventano sempre più leggeri i carrelli della spesa delle massaie,così come i loro portafogli.

Il Giornale ha comunicato che sono sempre più pesanti i carichi applicati dal mercato nei confronti dei beni di larghissimo consumo.

Un esempio è il carico dei costi sul prezzo della pizza, che costa a chi la prepara poco più di un euro e viene fatta pagare nelle pizzerie circa dalle 6 euro e 50 centesimi, con un ricarico record del 490 per cento!

Anche per quanto riguarda il caffè al bar le cose non vanno meglio: a fronte di un costo di 20 centesimi il prezzo pagato alla cassa si aggira attorni a 80 centesimi fino ad arrivare ad 1 euro.

Il perché di tutto questo è rappresentato dai tanti, troppi passaggi di filiera, dal campo alla tavola un prodotto agroalimentare subisce fino a 7/8 passaggi, durante i quali il suo prezzo lievita con percentuali a tre zeri.

I prodotti che più presentano questo "difetto"? Senza dubbio tutto il comparto ortofrutticolo, per il semplice fatto che sono spesso prodotti coltivati nel sud Italia, che attraversano il Paese nei vari passaggi di filiera, per poi essere rivenduti nuovamente al Sud.

Ci sono poi i cosiddetti "prodotti lavorati", ossia quelli che subiscono processi di trasformazione tipo i latticini, la pizza, gli insaccati ecc.

Di sicuro, per tutti i beni di consumo, le categorie migliori sono quelle che si possono acquistare direttamente presso il produttore.

Si pensi per esempio alla vendita diretta di frutta e verdura, all'allevatore che vende nella sua fattoria carne, latte, uova e tanti altri prodotti alimentari.

Servirebbe una legge per rendere trasparenti i prezzi attraverso i vari passaggi di filiera, per ora esiste un servizio, denominato Smsconsumatori attraverso il quale, grazie all'invio di un sms gratuito è possibile conoscere il prezzo medio nazionale all'origine e all'ingrosso, aggiornato con cadenza settimanale,e quello medio di vendita macro regionale (Nord-Sud e Centro) rilevato giornalmente.

Bisognerebbe inoltre valorizzare i prodotti a "km 0" ossia venduti vicino al luogo di produzione.