Atahotel Executive di Milano. Lunedì 31 Agosto, ore 23.00: finisce il Calciomercato estivo 2015. Una quasi tragedia per gli addetti ai lavori e per tutti i media che per mesi non hanno saputo trovare uno straccio di argomento alternativo per riempire i loro spazi o palinsesti. Una liberazione per molti appassionati di calcio, ormai nauseati da illusioni, plusvalenze, bonus, scelte di vita e prestiti con diritto di riscatto, recompra e rirecompra. Tifosi che però quasi mai vengono informati con la stessa precisione sulla reale situazione delle loro squadre del cuore.

Il dado è tratto. Ed il banco piange

Diamo un po i numeri (anche perchè in ogni caso faremmo meno danni dei nostri super manager calcistici): a fine mercato il totale delle spese (parlando solo della massima serie) ammonta a 570,70 mln a fronte di 490,93 mln di ricavi. Dunque si registra un saldo negativo di 80 mln, che colloca il nostro campionato al terzo posto per spese effettuate, dietro soltanto alla Liga ed alla Premier League. Ma soprattutto, questi numeri arrivano ad affossare ancor di più i bilanci delle nostre società, se si pensa che solo negli ultimi 5 anni la sola serie A ha accumulato debiti finanziari per 1,1 miliardi di euro. Fondi spesso dilapidati con acquisti ed ingaggi scriteriati, mentre poco o nulla si è investito sui giovani e nelle infrastrutture.

Una gestione scellerata che ha fatto sentire i suoi effetti a cascata nelle serie minori: il risultato è stata una vera e propria ecatombe con fallimenti a catena (in alcuni casi anche plurimi) e la sparizione di un'intera categoria (la vecchia serie C2).

Ultima spiaggia

Carlo Tavecchio ha varato un piano di risanamento pluriennale, con vincoli anche sulle rose (tetto di 25 giocatori di cui almeno 4 italiani e 4 del vivaio), con la speranza che non sia troppo tardi e, soprattutto, che questa riforma non faccia la brutta fine del tanto decantato fair play finanziario.

Ci si chiede fino a quando, e fino a che punto, le banche creditrici sosterranno questo circolo vizioso: il timore, più che fondato, è che a farne le spese siano i piccoli risparmiatori, cioè proprio quei tifosi che alimentano questo mercato e che si ammassano trepidanti negli aeroporti festeggiando l'arrivo del loro nuovo idolo, come fosse un messia. Salvo poi, nella maggior parte dei casi, salutarne indifferenti il ritorno in patria.