Ora che Ferrari è finalmente approdata a Piazza Affari - il titolo della scuderia di Maranello è quotato al New York Stock Exchange dal 21 ottobre scorso, con alterne fortune - e che nonostante il lunedì nero delle borse mondiali il titolo ha retto chiudendo in crescita dello 0,5% dopo un avvio non certo brillante, sarebbe il caso di non lasciare isolato il Cavallino Rampante.
E' verso che l'anno scorso lo Stato ha portato sul listino milanese le Poste e che tra quest'anno e l'inizio del 2017 - ma probabilmente già nel secondo semestre 2016 - farà arrivare al capolinea di Palazzo Mezzanotte anche le FS, è altrettanto vero che grandi marchi del made in Italy se non contano ben pochi, tanto più che nei mesi scorsi dopo l'arrivo del colosso ChemChina anche l'altro marchio di richiamo, Pirelli, è stato delistato.
Dopo Ferrari, ci vorrebbero Barilla, Armani, Ferrero, Esselunga&C
Ora il sistema-Paese Italia dovrebbe sfruttare il traino rappresentato dal dual listing di Ferrari e attirare in borsa gli altri grandi brand del made in Italy. Anche perché di vere multinazionali quotate ne abbiamo davvero poche. E ancora meno sono i nomi di spicco e richiamo per gli investitori internazionali. Per questo imprenditori di successo quali Giorgio Armani, Bernardo Caprotti, le famiglie Ferrero e Barilla, gli Amenduni dell'acciaio e cosi via.
Un esercito di aziende leader, con fatturati miliardi e liquidità che però se ne stanno ben volentieri lontani dai mercati finanziari. Certo Armani ha il 5% del colosso dell'occhialeria Luxottica ma tutt'altra cosa è portare la sua maison miliardaria, che fa gola ai big transalpini Lvmh, Kering o L'Oreal, in borsa.
E che dire dell'Esselunga di mr Caprotti? Quasi 8 miliardi di giro d'affari complessivo, utili per oltre 200 milioni e un difficile passaggio generazionale per il 90enne imprenditore di Limito di Pioltello che ha rifiutato le offerte luccicanti degli americani di Wal-Mart, degli inglesi di Tesco e così via.
Dal rosso Ferrari al cioccolato Ferrero
Un altro grandissimo brand - che vale tra l'altro più di 8 miliardi di ricavi - è rappresentato dall'azienda di Alba di Cuneo.
Dopo la scomparsa, avvenuta il 14 febbraio 2015, del patriarca Michele Ferrero, ora le redini del colosso dolciario sono nelle mani di Giovanni. E proprio lui potrebbe rappresentare l'elemento di svolta per dare maggiore visibilità a un gruppo che ha portato il marchio Kinder in tutto il mondo.
Sempre nel campo alimentare c'è il gruppo Barilla di Parma che ha una visibilità tale da poter rappresentare un brand capace di attirare capitali e investitori da mezzo mondo, se solo la famiglia decidesse di aprirsi al mercato.
Nel campo della moda, l'altro grande marchio che le banche d'affari stanno cercando di trascinare a Piazza Affari è D&G: ma per ora i due stilisti Stefano Gabbana e Domenica Dolce hanno sempre rifiutato le sirene del mercato. Ma non è detto che l'arrivo di Ferrari a Milano non possa dare nuovi stimoli a questi campioni del made in Italy.