La crisi finanziaria scoppiata nel 2007 negli Stati Uniti e diffusasi in ampia parte del pianeta, compresa l’Europa, ha segnato l’inizio di un grave processo recessivo, tuttora in atto. Gli eventi di patologia finanziaria che si sono succeduti negli ultimi anni, hanno determinato forti squilibri economico-sociali e una rilevante sfiducia nei mercati, che ha indebolito ancor di più, se possibile, i sistemi finanziari. Tutto ciò ha comportato un arresto dello sviluppo economico, nonchè considerevoli difficoltà nel proseguimento del processo d’integrazione europeo e mondiale.

Gravi ripercussioni hanno interessato tanto il mercato finanziario quanto l’economia reale; si è, infatti, registrata una diminuzione, se non una vera e propria stasi, nei consumi; una flessione degli investimenti; un aumento della disoccupazione: indici di un grave processo recessivo. Avendo la crisi raggiunto dimensioni globali, è stato necessario, per cercare una convergenza disciplinare, riconoscere un ruolo sempre più significativo ai cd. global regulators. In questo contesto è, dunque, emersa la necessità di rafforzare la governance mondiale dei mercati finanziari e di rivedere la regolamentazione e la supervisione prudenziale. Il g20, forum attivo dal 1999, ha, in questo contesto, assunto la leadership politica delle riforme nell’ambito della regolamentazione finanziaria.

Il primo summit a seguito della crisi si svolse il 14 e 15 Novembre del 2008 a Washington D.C.; l’attenzione si concentrò primariamente sull’implementazione della normativa in ambito finanziario. Esso, il primo vertice tra i Capi di Stato, è stato ricordato nei giorni scorsi dal segretario al Tesoro Usa, Jacob Lew, convinto dell’assenza, nell’ultimo G20, delle medesime condizioni decisionali presenti all’epoca della riunione nella capitale americana.

D’altra parte, con esso, tenutosi il 4 e 5 settembre scorsi, presso Hangzhou, capitale della provincia di Zhejiang, nell’est della Cina, si è registrato un importante cambio di rotta. Estrema importanza è stata data alla ricerca di nuovi stimoli fiscali, in palese antitesi rispetto alle politiche di austerità, portate avanti finora.

Tale atteggiamento di rottura, sostenuto innanzitutto dagli USA, è risultato vincente all’esito del dibattito, come lo stesso Lew aveva auspicato, affermando la necessità di usare “qualsiasi strumento politico” a disposizione, per spingere i governi ad adottare, appunto, misure di stimolo fiscale. Il presidente della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping, aveva già espresso, nel dicembre 2015, la volontà di incontrare i leaders del “Gruppo dei 20”, al fine di condurre riforme strutturali e ridare energia allo sviluppo dei singoli paesi. Nel suo discorso durante la cerimonia di apertura del 3 settembre, ha ribadito il suo ideale “nuovo corso”, per la Cina e per il mondo: uniti nello sforzo di crescere in un ambiente “aperto”, coinvolti nella costruzione di un ordine internazionale più giusto ed equo.

Vero è che si è trattato di un summit povero di misure specifiche, in accordo con quanto aveva previsto Lew; sicuramente più orientato alla proposizione di riforme strutturali. Per quanto riguarda l’Italia, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi ha riconosciuto l’importanza di lavorare su una crescita “che sia anche più equa”, ma d’altra parte, ha ammesso che “per vedere i risultati delle riforme occorrono anni”. Dal canto suo, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, al suo ultimo G20ha citato l’Italia come esempio positivo in ambito riformistico; ed è così tornato protagonista il tema dell’imminente Referendum nostrano. E, proprio oggi, forse influenzato dalle parole del suo presidente, l’ambasciatore USA in Italia, John Phillips, si è schierato per il “sì”.