L'approvazione da parte del Senato del Budget statunitense per il 2018, aprendo la strada ad una riforma fiscale che comporterà un stimolo di 1,5 trilioni di dollari nel deficit federale per i prossimi 10 anni, ha avuto conseguenze favorevoli per la divisa Usa, che ha sospeso il suo trend negativo rispetto all'euro ed ha stabilito nuovi massimi relativi, a tre e a cinque mesi, sullo yen e sul franco svizzero. All'attuale interesse verso il cambio del dollaro contribuisce l'attesa di un aumento dei tassi sui Fondi federali, attualmente all'1,25%, nel corso del prossimo meeting della Federal Reserve in dicembre.
Si discute infatti sulla necessità di normalizzare la politica monetaria Usa anche in presenza di pressioni inflazionistiche moderate, dato che i prezzi al consumo viaggiano attualmente all'1,3% annuo, ben al di sotto dell'obiettivo statutario del 2% della banca centrale.
Un nuovo corso alla Fed ed un QE indefinito?
Per la nomina del nuovo governatore della Fed sono candidati esponenti alternativi a Janet Yellen che potrebbero favorire il ritorno ad interventi sui tassi più aggressivi dell'attuale approccio gradualista, condiviso da un mercato obbligazionario che anticipa altri due ritocchi nel 2018. Se questi sono i fattori alla base della recente ripresa del dollaro, va notato che la tendenza positiva dell'euro non si è interrotta e che il recupero della valuta Usa appare in una fase di stallo successiva ad una discesa superiore al 10% in soli sei mesi.
Nella riunione del 26 settembre la Banca Centrale Europea ha stabilito a partire da gennaio il dimezzamento a 30 miliardi di euro mensili del piano di acquisto dei titoli obbligazionari dell'area ed al prossimo settembre il suo termine, ma ha rimarcato l'immediato ritorno all'impiego del Quantitative Easing in caso di necessità.
Economia e politica sostengono la fiducia
Oltre alle determinanti di fondo, che restano favorevoli alla divisa unica per il forte avanzo complessivo dell'area con l'estero, per una politica austera e per i grandi margini di sviluppo nella mobilità interna degli investimenti, è ora presente una maggiore sincronia nel ciclo economico internazionale, che comporta parametri reali e finanziari convergenti, come nei cambi e nei tassi di mercato, comunque sempre condizionati dall'operato delle banche centrali.
I movimenti valutari del 2017 sembrano rappresentare in questo senso un aggiustamento di squilibri originati in un clima passato di forte sfiducia verso la divisa unica, probabilmente non ancora completato. Le rispettive politiche monetarie non dovrebbero modificare le dinamiche dei tassi di cambio se non in senso favorevole dato che l'aumento dei tassi europei è considerato ancora lontano. Molto più importanti per l'euro risultano i progressi, finora sostanzialmente salvaguardati, nella convergenza verso l'Unione politica, che garantirebbe, pur in presenza di paesi membri con diversa efficienza finanziaria, industriale e sociale, un rafforzamento della base produttiva comune. In termini valutari appare probabile che il processo di autonomo apprezzamento del cambio non sia ancora terminato, e che la tendenza possa proiettare il cambio euro-dollaro al di sopra dell'area 1,20 nel corso dei primi mesi del 2018.