Alberto Brambilla, personaggio notoriamente vicino alla Lega, e soprattutto esperto in materia previdenziale e Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali con una intervista al quotidiano “Il Corriere della Sera” ha affrontato tutti i temi pensionistici oggi largamente dibattuti.

Il tutto corredato da numeri e cifre frutto di una analisi che il suo Centro Studi ha approntato. Negativo il giudizio di Brambilla su due dei cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle, cioè la pensione di cittadinanza e il taglio delle Pensioni d’oro. Brambilla poi ha affrontato anche il tema dei costi di quota 100 dichiarandola perfettamente fattibile.

Ecco i numeri su cui si basano le teorie dell’esperto in contrapposizione a ciò che vorrebbe mettere in atto il Governo.

Taglio delle pensioni d’oro? Un errore da non fare

Come funziona il taglio degli assegni d’oro di Di Maio? Innanzitutto, in campagna elettorale ed anche nel contratto di Governo, le pensioni da colpire dovevano essere quelle a partire dai 5.000 euro lordi al mese.

Secondo Brambilla, la proposta di taglio delle pensioni d’oro su cui si spende Di Maio, come prevista nel disegno di Legge D’Uva-Molinari (i due parlamentari di M5S e Lega primi firmatari della proposta) oltre che difforme rispetto a quanto previsto nel programma di governo è sbagliata come meccanismo.

Anche se si continua a ribadirlo, il taglio non prevede il ricalcolo contributivo di pensioni liquidate con il sistema retributivo per ridurre le pensioni d’oro in rapporto ai contributi versati.

Per Brambilla invece, si tratta di sforbiciate rapportate all’età in cui si è andati in pensione. In pratica, soggetti che grazie alle normative vigenti il giorno del pensionamento, riuscirono a centrare le pensioni molto giovani, cioè a 58, 59 o 60 anni, adesso rischiano di vedersi ridurre l’assegno perché in base al meccanismo che si intende adottare, la pensione sarebbe dovuta essere spettante solo a 63 anni.

Ed il taglio potrebbe arrivare anche a 200 euro ogni 1.000 euro di pensione percepita. Un vero salasso che però ben difficilmente riuscirà ad ottenere il via libera della Corte Costituzionale. Ecco perché proprio il Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali è tra i promotori del contributo di solidarietà al posto di questo taglio degli assegni d’oro.

Contributo di solidarietà

Come funzionerebbe il contributo di solidarietà? Con questa misura, si andrebbe a chiedere un sacrificio ai pensionati con assegni a partire dai 2.000 euro mensili, sempre al lordo della tassazione vigente. Un provvedimento questo che in passato è stato già adottato, seppur in maniera diversa e su fasce di pensionati diverse e che ha ricevuto l’ok costituzionale da parte della Consulta.

I pensionati con assegni di questo tipo, per tre anni subirebbero un taglio di pensione che servirebbe per finanziare le altre misure previdenziali previste e che per via delle scarse risorse, non attuabili.

Il Governo secondo Brambilla, recupererebbe più di quanto farebbe con il taglio delle pensioni d’oro che numericamente sono irrisorie rispetto alle pensioni che mensilmente paga l’Inps.

Infatti, dati alla mano, sarebbero meno di 50mila i pensionati che rientrerebbero in questi tagli, producendo per l’Esecutivo un guadagno di una trentina di milioni annui che sono pochi rispetto al costo dell’operazione riforma.

Pensione con quota 100 si può?

Il taglio della proposta D’Uva-Molinari, secondo le intenzioni dovrebbe produrre guadagni da riversare nella pensione di cittadinanza. Questa è un’altra misura spiccatamente targata M5S.

Con la pensione di cittadinanza si vuole portare le pensioni minime alla soglia di 780 euro al mese. Anche questa ipotetica misura viene contestata da Brambilla. Secondo l’esperto, la pensione di cittadinanza, oltre che costare una enormità (16 miliardi di euro), distruggerebbe il sistema.

Portare le pensioni a 780 euro anche per chi non ha mai versato contributi produrrebbe l’effetto di non far versare più contributi da nessuno. Basti pensare che nelle pensioni di oggi, per raggiungere la soglia di 800 euro al mese, bisogna avere un reddito da lavoro di almeno 25mila euro. Chi andrebbe più a versare i contributi se anche senza si arriverebbe a percepire più o meno la stessa cifra?

Per Brambilla l’unica cosa davvero fattibile è la quota 100. Si manderebbero in pensione i lavoratori con almeno 64 anni di età quando sommando anche i contributi versati si arriva a 100. Un misura che non costa 8 miliardi come dicono gli scettici e le opposizioni, ma “solo” tra 3 e 3,5 miliardi. Basti pensare che la nascita di quota 100 cancellerebbe l’Ape sociale che per il Governo costa quasi 2 miliardi.